La Russia rischia di morire annegata nel suo petrolio,
soffocata dal suo gas. L’America d’Obama ed i suoi alleati, spesso tenuti in
scacco politicamente da Putin negli ultimi tempi, gli puntano contro l’arma delle
sanzioni e dell’energia. E, poi, un petrolio a basso prezzo è “buono per la
ripresa”, dice l’Fmi.
C’è anche questo, dietro la guerra Ue/Russia sul South
Stream. Stretta nella morsa delle sanzioni per l’Ucraina, del prezzo del
petrolio che scende e del rublo che va giù, Mosca taglia drasticamente le stime
del Pil per il 2015, da una crescita dell'1,2% a un calo dello 0,8%. Lo dice il
vice ministro dell'economia, Alexey Vedev, citato dalla Bloomberg, indicando le
sanzioni come "elemento d’instabilità" strutturale e geopolitica.
L’inflazione vola al 9%, resterà alta al 7,5% nel 2015.
Il crollo del rublo apre Financial Times e Wall Street
Journal, dopo che la valuta russa è scesa sotto quota 54 sul dollaro e ha
registrato la peggior caduta intra-giornaliera dalla crisi finanziaria russa
del 1998. Per FT, 'Il rublo trema con il
crollo del petrolio e cresce la pressione sulla Russia'. WSJ titola 'Il declino
del rublo si avvicina al 40%'. E la prospettiva è quella d’un rublo sotto i 50
dollari.
Washington manda alla guerra del petrolio, che può mettere
in ginocchio la Russia, l’Arabia Saudita e gli altri suoi amici Opec, che non
abbassano la produzione e lasciano calare i prezzi, mettendo pure in difficoltà
il Venezuela –altro Paese sulla lista nera degli Stati Uniti-.
Ma la pressione è forte pure dalla Nato, che sostiene che la
Russia e i separatisti violano gli accordi di Minsk, mentre Mosca fa notare che
Kiev è indietro nei pagamenti dell’energia. Obama telefona al polacco Tusk, appena insediatosi alla
presidenza del Consiglio europeo, e parla della crisi ucraina e di “possibili
ulteriori azioni necessarie per rispondere all’opera di destabilizzazione compiuta
dalla Russia" in Ucraina e Crimea.
E c’è pure l’ipotesi
tutta americana di colpire la Russia per la sua cooperazione nucleare con
l’Iran, visto che i ‘5+1’ non hanno suggellato l’intesa con Teheran. Mosca mette
le mani avanti, giudica una mossa del genere “illegittima” e continua a perseguire
un’intesa ‘oil for good’.
L'Arabia Saudita si
dice pronta a considerare la possibilità di un taglio delle sue quote
produttive, ma soltanto se anche i paesi al di fuori dell'Opec, a partire dalla
Russia, aderiranno ai nuovi limiti. Ma Mosca non può oggi rinunciare ai
proventi del petrolio e deve anzi pomparne sempre di più, visto che il prezzo
scende.
Infatti, la
produzione petrolifera mensile in Russia è aumentata, a novembre, arrivando a
10,63 milioni di barili al giorno (43,5 tonnellate), un livello già toccato nel
dicembre 2013, il picco dell'epoca post-sovietica. Mosca non ha intenzione di
contribuire ad arginare la caduta del prezzo del barile a livello mondiale: il
greggio, con il gas naturale, la cui produzione è pure salita a 2 miliardi di
metri cubi al giorno da 1,71 di ottobre, costituisce una parte troppo importate
del bilancio statale.
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