Transcript del mio intervento al convegno del Centro Studi Americano dello 06/11/2014, pubblicato sul numero di dicembre di Formiche
In questo dibattito, rischiamo di avere diverse
opinioni convergenti, se non coincidenti: gli elementi di dialettica non
saranno fortissimi, credo, dopo avere sentito le parole di Bill Schneider, che
era – senza che lui l’abbia mai saputo - l’ispiratore di molte mie corrispondenze
dagli Stati Uniti. Lui spiegava alla Cnn che cosa stava succedendo nella
politica americana e io trascrivevo e traducevo, e se lo facevo tempestivamente,
avevo un buon impatto sui media italiani e sull'opinione pubblica.
Ora, non voglio provare a convincervi, perché non lo
penso neppure io, che una squadra che perde 7 a 0 non abbia davvero perso la
partita: 7 (a 0) sono i senatori che i repubblicani hanno sottratto ai
democratici, anche se forse voi avete in mente altri risultati analoghi.
In realtà, però, i democratici la partita non l’hanno
persa del tutto, almeno in chiave presidenziali 2016. Chi l’ha effettivamente
persa è Barack Obama.
C’è qualcosa di bipolare in questo voto di mid-term negli Stati Uniti. Il voto
politico, cioè per il Senato e la Camera, è chiaramente repubblicano, ma è
soprattutto contro il presidente.
Il voto dei referendum, come ha già accennato la
collega Pasquali, ha un segno diverso: sono passati referendum su tutti i temi
dell’agenda democratica, dell’agenda Obama. I cittadini hanno detto sì all'aumento
del salario minimo, no alle limitazioni dell’aborto, sì a maggiori diritti per
le unioni omosessuali, sì alla legalizzazione della marijuana e sì a paletti
per l’acquisto delle armi. E tutto ciò non è passato a New York o in
California, negli Stati ‘liberal’, ma nello Stato di Washington e sulle
Montagne Rocciose, nel Far West e nel Mid-West, in Stati che hanno una tendenza
– o una presenza – repubblicana e conservatrice molto forte.
Quindi, in qualche modo, l’agenda democratica è andata
avanti, anche se i democratici sono rimasti indietro.
Questo mi porta a confermare e a rafforzare l’opinione
già espressa che sarà anche vero che il mid-
term lo hanno vinto i repubblicani, ma le presidenziali i democratici non
lo hanno ancora perso. Quelle del 2016 saranno elezioni di alternanza, certo: alternanza
di colore – il prossimo presidente sarà un bianco! –; e forse anche alternanza
di genere - ci sono buone possibilità che il prossimo presidente sia una donna
-. Alternanza di partito? Lo vedremo.
Se guardiamo a un sito che è una delle mie bibbie
della politica Usa, www-270towin.com, che dà la ripartizione dei Grandi Elettori
tra democratici e repubblicani - ci azzecca quasi sempre -, bene oggi questo
sito dà ancora ai democratici una maggioranza abbastanza netta di Grandi Elettori
in un’elezione presidenziale.
Un po’ perché i democratici si prendono,
scontatamente, New York e la California, che fanno 84 Grandi Elettori, e tutto
il New England –altri 80-; un po’ perché molti Stati in cui il 4 novembre c’erano
corse da senatore incerte contano poco in chiave presidenziale, perché sono
poco popolosi, e per di più hanno la tendenza a passare da un partito all'altro.
Dunque, i democratici la partita presidenziale non
l’hanno persa. Anzi, non partono neanche svantaggiati in questo momento: se è vero
che loro hanno un solo candidato, anzi una sola candidata, Hillary Rodham
Clinton, i repubblicani non hanno neanche quella.
Non c’è un solo leader repubblicano che abbia una
riconoscibilità nazionale forte, in questo momento negli Stati Uniti. E se si
volesse giocare un match dal sapore del
passato, Hillary, una Clinton, contro Jeb, un Bush, sarebbe mediaticamente una
bella partita, ma non è affatto detto che i repubblicani la vincano.
Se poi l’alfiere dei repubblicani – come ci ricordava
prima Schneider –, non in chiave presidenziale ma in chiave di visibilità nei
prossimi due anni, sarà Mitch McConnell, il nuovo leader della maggioranza al
Senato, mica ci possiamo raccontare che il voto dà una spinta all’anti-politica
e al cambiamento. McConnell è senatore da 29 anni! Certo non è un uomo nuovo.
Se, invece, l’uomo nuovo è Ted Cruz, un altro che è
stato evocato, voglio vedere i repubblicani sceglierlo come loro candidato: perdono
di sicuro. Lo voteranno solo quelli dei Tea Party, la destra più radicale,
forse i fondamentalisti cristiani. Ma certo Cruz non prende i voti
dell’elettorato di centro.
Quindi, anche per i repubblicani i prossimi due anni
non saranno facili e credo che, proprio pensando al 2016, non sceglieranno di
fare muro contro muro con la Casa Bianca: avranno bisogno d’arrivare alle
presidenziali con risultati da esibire agli elettori, non solo con la narrativa
di un’America di scontro.
Alleluja, poi, se i risultati dovessero riguardare l’area
di libero scambio transatlantica – e sarebbe una buona cosa per l’Europa, anche
se magari sarà proprio l’Europa a mettere i bastoni fra le ruote - o qualche
settore della politica estera dove noi abbiamo più sofferto la difficoltà di
decidere e la mancanza di determinazione di Obama.
Un’ultima cosa: il governo diviso, questa esperienza
di avere contro tutto il Congresso, di cui ha già parlato Massimo Teodori, non
la fa per la prima volta Obama: la fece pure Bush jr; e la fece pure Clinton.
Ignoro se gli elettori americani bilancino scientemente
il loro voto per bilanciare i poteri o se sia come i numeri del lotto che alla
lunga escono tutti le stesse volte. Ma di sicuro gli americani votano un po’
come gli italiani, contro il governo perché “ Piove, governo ladro!”; e dopo un
po’ si stufano del governo e lo vogliono cambiare o comunque punire e –come che
stiano le cose, anche se l’economia va bene - votano contro il loro presidente.
Un po’ per mettergli i
bastoni tra le ruote; e un po’ semplicemente perché se ne sono stancati. Il che
vuol dire che, fra due anni, potrebbero esserci stancati di Ted Cruz e di Mitch
McConnell.
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