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lunedì 8 dicembre 2014

Usa: Mid-term, un'America bipolare contro Obama ma pro sua agenda

Transcript del mio intervento al convegno del Centro Studi Americano dello 06/11/2014, pubblicato sul numero di dicembre di Formiche

In questo dibattito, rischiamo di avere diverse opinioni convergenti, se non coincidenti: gli elementi di dialettica non saranno fortissimi, credo, dopo avere sentito le parole di Bill Schneider, che era – senza che lui l’abbia mai saputo - l’ispiratore di molte mie corrispondenze dagli Stati Uniti. Lui spiegava alla Cnn che cosa stava succedendo nella politica americana e io trascrivevo e traducevo, e se lo facevo tempestivamente, avevo un buon impatto sui media italiani e sull'opinione pubblica.

Ora, non voglio provare a convincervi, perché non lo penso neppure io, che una squadra che perde 7 a 0 non abbia davvero perso la partita: 7 (a 0) sono i senatori che i repubblicani hanno sottratto ai democratici, anche se forse voi avete in mente altri risultati analoghi.

In realtà, però, i democratici la partita non l’hanno persa del tutto, almeno in chiave presidenziali 2016. Chi l’ha effettivamente persa è Barack Obama.

C’è qualcosa di bipolare in questo voto di mid-term negli Stati Uniti. Il voto politico, cioè per il Senato e la Camera, è chiaramente repubblicano, ma è soprattutto contro il presidente.

Il voto dei referendum, come ha già accennato la collega Pasquali, ha un segno diverso: sono passati referendum su tutti i temi dell’agenda democratica, dell’agenda Obama. I cittadini hanno detto sì all'aumento del salario minimo, no alle limitazioni dell’aborto, sì a maggiori diritti per le unioni omosessuali, sì alla legalizzazione della marijuana e sì a paletti per l’acquisto delle armi. E tutto ciò non è passato a New York o in California, negli Stati ‘liberal’, ma nello Stato di Washington e sulle Montagne Rocciose, nel Far West e nel Mid-West, in Stati che hanno una tendenza – o una presenza – repubblicana e conservatrice molto forte.

Quindi, in qualche modo, l’agenda democratica è andata avanti, anche se i democratici sono rimasti indietro.

Questo mi porta a confermare e a rafforzare l’opinione già espressa che sarà anche vero che il mid- term lo hanno vinto i repubblicani, ma le presidenziali i democratici non lo hanno ancora perso. Quelle del 2016 saranno elezioni di alternanza, certo: alternanza di colore – il prossimo presidente sarà un bianco! –; e forse anche alternanza di genere - ci sono buone possibilità che il prossimo presidente sia una donna -. Alternanza di partito? Lo vedremo.

Se guardiamo a un sito che è una delle mie bibbie della politica Usa, www-270towin.com, che dà la ripartizione dei Grandi Elettori tra democratici e repubblicani - ci azzecca quasi sempre -, bene oggi questo sito dà ancora ai democratici una maggioranza abbastanza netta di Grandi Elettori in un’elezione presidenziale.

Un po’ perché i democratici si prendono, scontatamente, New York e la California, che fanno 84 Grandi Elettori, e tutto il New England –altri 80-; un po’ perché molti Stati in cui il 4 novembre c’erano corse da senatore incerte contano poco in chiave presidenziale, perché sono poco popolosi, e per di più hanno la tendenza a passare da un partito all'altro.

Dunque, i democratici la partita presidenziale non l’hanno persa. Anzi, non partono neanche svantaggiati in questo momento: se è vero che loro hanno un solo candidato, anzi una sola candidata, Hillary Rodham Clinton, i repubblicani non hanno neanche quella.

Non c’è un solo leader repubblicano che abbia una riconoscibilità nazionale forte, in questo momento negli Stati Uniti. E se si volesse giocare un match dal sapore del passato, Hillary, una Clinton, contro Jeb, un Bush, sarebbe mediaticamente una bella partita, ma non è affatto detto che i repubblicani la vincano.

Se poi l’alfiere dei repubblicani – come ci ricordava prima Schneider –, non in chiave presidenziale ma in chiave di visibilità nei prossimi due anni, sarà Mitch McConnell, il nuovo leader della maggioranza al Senato, mica ci possiamo raccontare che il voto dà una spinta all’anti-politica e al cambiamento. McConnell è senatore da 29 anni! Certo non è un uomo nuovo.

Se, invece, l’uomo nuovo è Ted Cruz, un altro che è stato evocato, voglio vedere i repubblicani sceglierlo come loro candidato: perdono di sicuro. Lo voteranno solo quelli dei Tea Party, la destra più radicale, forse i fondamentalisti cristiani. Ma certo Cruz non prende i voti dell’elettorato di centro.

Quindi, anche per i repubblicani i prossimi due anni non saranno facili e credo che, proprio pensando al 2016, non sceglieranno di fare muro contro muro con la Casa Bianca: avranno bisogno d’arrivare alle presidenziali con risultati da esibire agli elettori, non solo con la narrativa di un’America di scontro.

Alleluja, poi, se i risultati dovessero riguardare l’area di libero scambio transatlantica – e sarebbe una buona cosa per l’Europa, anche se magari sarà proprio l’Europa a mettere i bastoni fra le ruote - o qualche settore della politica estera dove noi abbiamo più sofferto la difficoltà di decidere e la mancanza di determinazione di Obama.

Un’ultima cosa: il governo diviso, questa esperienza di avere contro tutto il Congresso, di cui ha già parlato Massimo Teodori, non la fa per la prima volta Obama: la fece pure Bush jr; e la fece pure Clinton.

Ignoro se gli elettori americani bilancino scientemente il loro voto per bilanciare i poteri o se sia come i numeri del lotto che alla lunga escono tutti le stesse volte. Ma di sicuro gli americani votano un po’ come gli italiani, contro il governo perché “ Piove, governo ladro!”; e dopo un po’ si stufano del governo e lo vogliono cambiare o comunque punire e –come che stiano le cose, anche se l’economia va bene - votano contro il loro presidente.

Un po’ per mettergli i bastoni tra le ruote; e un po’ semplicemente perché se ne sono stancati. Il che vuol dire che, fra due anni, potrebbero esserci stancati di Ted Cruz e di Mitch McConnell.

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