Scritto per Il Fatto Quotidiano del 14/12/2014
Una,
due, tre, troppe Ferguson. E i neri d’America tornano a marciare su Washington, come fecero il 28
agosto 1963, quando il pastore Martin Luther King pronunciò il ‘discorso del
sogno’, davanti al Lincoln Memorial, con la spianata del Mall gremita di gente
fino all’obelisco di Washington.
Questa volta i
manifestanti non sono così numerosi: decine di migliaia, comunque più dei 5000
mila che gli organizzatori avevano prudentemente previsto. L’America è di nuovo
in strada a protestare: ieri a Washington e New York; da settimane ormai in
decine di località. Come ai tempi del Vietnam e dell’affermazione dei diritti
civili.
In 50 anni, certo,
gli afro-americani hanno conquistato posizioni importanti nella società,
poliziotti, giudici, professori, astronauti, scienziati, ministri, fino alla
Casa Bianca. Ma le cronache mostrano che l’uguaglianza di fronte alla giustizia
non è ancora garantita.
Chi marcia protesta contro gli agenti di
polizia che hanno ucciso cittadini neri disarmati a Ferguson, nel Missouri, a Cleveland
nell’Ohio, a Orlando in Florida e a New York; e contro giudici e giurie che
hanno lasciato impuniti i responsabili. Tutti a mani alzate, in segno di resa, a gridare "Non sparare", o "Non respiro".
“Giustizia per tutti”, “Siamo tutti
uguali'', “La vita dei neri conta”, ''Basta violenza della polizia'' dicono
alcuni degli striscioni che i manifestanti sciorinano. Ma ce ne sono di più
aggressivi, che scandiscono “Niente giustizia, niente pace”.
I due episodi che hanno innescato la nuova
stagione di fermenti razziali in tutta l’Unione sono stati la mancata
incriminazione degli agenti responsabili della morte di Michael Brown a
Ferguson e d’Eric Garner a New York, oltre che l’uccisione Cleveland di un
ragazzino di 12 anni che giocava in un parco con un’arma finta.
"Abbiamo bisogno di più che di sole
parole, vogliamo un'azione legislativa", sostiene Al Sharpton, il pastore
che guida la protesta a Washington. E’ una critica implicita al presidente
Obama, che pare timoroso di ‘agire da nero’ alla Casa Bianca: riconosce che le
comunità di colore hanno motivi per protestare, ma raccomanda soprattutto la
moderazione.
I manifestanti chiedono al Congresso di approvare
una legge che attribuisca ai procuratori federali la responsabilità dei casi
che coinvolgono agenti, poiché i magistrati locali, che lavorano a contatto con
la polizia, sono in conflitto di interessi, spiega Sharpton. Del resto,
l’avanzata dei diritti civili, negli Stati Uniti, è stata sempre promossa a
livello federale più che statale.
Alla marcia di Washington partecipano i
familiari di Brown e di Garner e anche di Akai Gurley – altra vittima della
polizia di New York -. E di Trayvon Martin, ucciso da un vigilante ispanico –
di lui, Obama disse che poteva essere suo figlio -.
A Washington, i manifestanti si sono dati
appuntamento a Freedom Plaza a mezzogiorno e hanno poi ‘occupato’ Pennsylvania
Avenue, tra la Casa Bianca e il Campidoglio. A
New York, il raduno era a Washington Square: i dimostranti hanno sfilato fino
al quartier generale del New York Police Department a Lower Manhattan, il
celebre NYPD di tante serie tv.
Poche ore prima della
protesta nera, il sindacato degli agenti di polizia della Grande Mela lanciava una
petizione online, perché il sindaco Bill de Blasio non partecipi più ai
funerali dei poliziotti che perdono la vita sul lavoro. Il sindacato ritiene la
presenza di de Blasio un "insulto al loro sacrificio" visto il
"rifiuto del sindaco di mostrare agli agenti il sostegno e l’appoggio che
meritano".
De Blasio ha criticato
la mancata incriminazione del poliziotto che uccise Garner: un passo che non è
piaciuto a 2/3 dei newyorchesi. Lo spartiacque razziale è netto, nel giudizio
sul sindaco che guarda alla Casa Bianca: piace al 70% dei nei, solo a un terzo
dei bianchi.
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