Scritto per Il Fatto Quotidiano del 10/11/2016 e ripreso da www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net
Qualche anno fa, compariva sui nostri schermi la
pubblicità di un noto bourbon: un gruppo di operai di una distilleria giocavano
a centrare un bersaglio con un tappo di sughero, mentre aspettavano che il loro
whisky americano maturasse in botti di rovere. La scena era certamente girata
in Tennessee e quegli uomini erano una sorta d’incrocio tra ‘rednecks’, bifolchi
un po’ grossolani degli Appalachi, e ‘blue collars’, operai delle fabbriche
manifatturiere del MidWest, Ohio, Pennsylvania, Michigan, Wisconsin.
Se cercate gli artefici del successo di Donald Trump
e i colpevoli della sconfitta di Hillary Clinton, li avete trovati in quello
spot: sono loro, che, dislocate le fabbriche e perduti i posti di lavoro, hanno
negli anni accumulato, con la crisi, rabbia e frustrazione. E, martedì, hanno scaricato
il loro rancore nell’urna.
Loro, soprattutto i ‘blue collars’, nascono
democratici, ma stavolta hanno fatto il salto della quaglia: hanno abbandonato
al suo destino la Clinton e hanno votato Trump, che dà l’impressione di capire,
lui miliardario, i loro problemi di poveri diavoli, mentre l’ex first lady
parla preciso, ma difficile, e dà sempre l’impressione d’essere lontana. E poi
quella è a Washington da una vita e non ha mai fatto nulla per loro: perché
fidarsi?
A Hillary Clinton, non sono mancati i voti degli
americani, perché, di suffragi popolari, ne ha presi più lei di Donald Trump –
ieri pomeriggio, mentre la conta non era ancora finita, ne aveva 170mila di
vantaggio -, ma sono mancati un po’ di voti in quegli Stati, specie
Pennsylvania e Michigan, dove un candidato democratico che vuole la Casa Bianca
deve vincere.
Attraverso l’Unione, la Clinton non ha neppure fatto
il pieno dei suffragi delle donne – quelle tipo Susan Sarandon, che di andare
alle urne per lei non ci pensavano proprio: troppo remissiva e tollerante, per
amore del potere più che del marito e della famiglia, di fronte alle
scappatelle di Bill – né di quelli dei giovani. Molti sono rimasti orfani di
Bernie Sanders quando s’è ritirato riconoscendo d’essere stato battuto da
Hillary nella corsa alla nomination.
Ora ci s’interroga, del tutto accademicamente, se i
democratici non avrebbero fatto meglio a giocare contro Trump proprio Sanders,
il senatore ‘socialista’ indipendente del Vermont che aveva destato tanto
entusiasmo nelle primarie, dando del filo da torcere a Hillary. Sanders piaceva
ai giovani e, forse, non avrebbe fatto scappare altrove i ‘blue collars’, con
la sua retorica da populista di sinistra.
L’ex first lady, invece, non motivava né galvanizzava
i suoi sostenitori. E neppure le minoranza nera e ispanica l’hanno sostenuta in
modo convinto: di sicuro, non andavano a votare Trump; ma relativamente pochi
andavano a votare Hillary. L’affluenza alle urne, al di là delle segnalazioni –
sporadiche - di code ai seggi in talune località, non è stata altissima: i voti
espressi sono stati meno di 120 milioni, in un Paese che ha 330 milioni di
abitanti.
Ma le elezioni non le ha solo perse la Clinton, le
ha anche vinte Trump, che pur potendo contare soltanto su un segmento
d’elettorato ben determinato, se l’è giocata bene e senza grandi strepiti,
fronte tattica. Un esempio: il serrate finale della sua campagna nel Michigan
era stato interpretato come il tentativo disperato d’arginare un’emorragia di
Stati in bilico che i sondaggi lasciavano intravvedere. Invece, il magnate s’è
andato a prendere proprio i voti di cui aveva bisogno e che hanno fatto la
differenza.
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