Scritto per Il Fatto Quotidiano del 12/11/2016
Al Vertice di Berlino del 18 novembre, il Vertice
delle anatre zoppe, fra leader tutti elettoralmente malconci o attesi a breve
scadenza da appuntamenti cruciali, il presidente Usa Barack Obama arriverà già
impallinato dal fuoco amico del suo successore Donald Trump. Con un gesto
d’arroganza politica e di scortesia istituzionale senza molti precedenti, il
team del presidente eletto ammonisce quello in carica a non fare passi
rilevanti in politica estera durante la transizione, che durerà 70 giorni, perché
c’è il rischio di “mandare segnali contrastanti”.
Il monito, un altolà in piena regola, arriva da un
consigliere di Trump per la sicurezza nazionale che parla a Politico chiedendo
di non essere citato – si ipotizza che sia il generale Michael T. Flynn, ex
direttore della Dia, la Defense Intelligence Agency, cui in queste ore si
prestano svariati incarichi nella nuova Amministrazione, tutti nell’ambito
della difesa e della sicurezza.
"Sulle grandi questioni su cui il presidente
Obama e il presidente eletto Trump non sono allineati, non penso – dice la
fonte a Politico - che sia nello spirito della transizione tentare di fare
passare punti dell’agenda” conflittuali: "Sarebbe controproducente e
manderebbe segnali contrastanti”.
Pence,
e non Christie, a capo della transizione – L’avvertimento giunge
mentre, a Washington e sui media, impazza il toto-nomine. Uno scossone arriva a
metà giornata: Trump affida la guida del ‘transition team’ al suo vice Mike
Pence, revocandola al governatore del New Jersey Chris Christie.
Secondo indicazioni raccolte dal New York Times, Trump
vuole sfruttare esperienza e conoscenze di Pence a Washington – è stato per
cinque mandati deputato al Congresso – per accelerare i tempi di formazione
della nuova Amministrazione. Il vice-presidente eletto sarà assistito dal
governatore Christie, che resta quindi nel giro, dal generale Flynn e da
Rudolph Giuliani. Dentro pure tre figli del magnate: Donald jr, Eric e Ivanka.
Il
viaggio di congedo di Obama - Il viaggio di congedo di Obama in
Europa partirà dalla Grecia e proseguirà, il 17 e 18, in Germania, dove incontrerà
fra gli altri Angela Merkel, cancelliera in crisi sul fronte interno, Francois
Hollande, che già pensa alle presidenziali in primavera, Theresa May, che non
sa come uscire dalle peste della Brexit, Mariano Rajoy, che ha appena uscito
dallo stallo, ma che guida un governo di minoranza, e Matteo Renzi, atteso fra
tre settimane dal referendum.
Per Obama, sarà l’occasione di un ‘arrivederci a
presto’, magari sulla panchina ai giardinetti. Prima che Trump vincesse le
elezioni, s’ipotizzava che Obama tranquillizzasse gli alleati della continuità
delle relazioni con Ue e Nato – nel caso che fosse stata eletta Hillary Clinton
– e cercasse, magari, di disincagliare le trattative verso la partnership commerciale
transatlantica (Ttip).
Altro obiettivo del viaggio, che si concluderà in Perù,
poteva essere di premere sul Congresso perché avalli l’accordo commerciale
trans-pacifico (Tpp). Tutti passi oggi non più immaginabili: l’elezione di
Trump significa discontinuità, non continuità; e il Tpp è a rischio
rinegoziato.
L’altolà va, però, contro le consuetudini del semestre
bianco delle Istituzioni americane: una ‘terra di nessuno’ rispettata da
entrambe le parti e non occupata militarmente né dall’una né dall’altra. Non
che tutto fili semre liscio come tra gentleman: nel 2001, i clintoniani
lasciarono ai bushiani uffici spettrali, cassetti sventrati e computer non
funzionanti con gli hard disk cancellati. Ma allora c’era stata di mezzo, ad
esacerbare gli animi, la conta e riconta dei voti in Florida.
Trump, invece, ha solo fretta di spazzare via l'era
Obama. Il presidente ripropone l’appello all’unità: "Adesso che le elezioni
sono finite, cerchiamo di unirci", dice al cimitero di Arlington,
commemorando i caduti in guerra. "I nostri principi sono più duraturi delle
nostre posizioni politiche": oggi, è più un auspicio che una constatazione.
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