Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 06/11/2016 e ripreso da www.GpNewsUsa2016.eu
C’è un
solo segmento dell’elettorato americano in cui Donald Trump è nettamente
avanti: quello dei maschi bianchi, dove i sondaggi gli attribuiscono fino a tre
quinti delle intenzioni di voto. Ovunque altrove, in tutti i segmenti
‘misurati’, le donne – anche le donne bianche -, gli ispanici, i neri, i
musulmani, il magnate e showman arranca.
Non
spopola neppure fra gli ultra-conservatori religiosi, gli evangelici, perché
lui baciapile non lo è di sicuro e neppure ci prova a farlo – ma lì lo aiuta un
po’ il suo vice Mike Pence, un cattolico ‘emigrato’ fra gli evangelici,
adamantino integralista -. Piccole riserve di voto pro-Trump possono, inoltre,
esserci alcuni gruppi etnici di immigrazione ormai radicata, come gli
italo-americani o gli slavo-americani, gli uni perché hanno raggiunto il
benessere ‘repubblicano’ e gli altri perché sono ridotti alla frustrazione da
crisi del manifatturiero.
Messa giù
così, la partita dell’8 Novembre parrebbe senza incertezze. Tanto più che Trump
non motiva fortemente larghi settori di conservatori moderati e per bene, poco
inclini a votarlo, e neppure i centristi e gli indipendenti, cioè quanti non si
dichiarano a priori né democratici né repubblicani.
Ma la
‘wild card’ del magnate e showman è la capacità, che ha largamente dimostrato
durante le primarie, di portare a votare americani che normalmente non ci
andrebbero (e non ci vanno), specie proprio quei maschi bianchi delusi e
frustrati per avere perso prima la supremazia nelle loro case, con l’avanzata
delle donne, poi nell’economia, dove la crisi ha colpito soprattutto loro, e infine
in politica, con gli otto anni di un nero alla Casa Bianca (cui non possono
proprio accettare che seguano otto anni di una donna alla Casa Bianca).
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