Scritto per Il Fatto Quotidiano del 12/11/2016
L’America anti-Trump s’è messa in marcia e non si
ferma più: centinaia di migliaia di manifestanti in decine di città e
università, centinaia di arresti, un fiume in piena di giovani, donne, neri,
ispanici che rilanciano lo slogan ‘Not My President’: sono reduci di Occupy
Wall Street e militanti di Black lives matter, sono i Millennials, la cui
neghittosità nel giorno del voto è stata determinante, a favore del magnate. Ora
vogliono smacchiarsi la coscienza. Ma è tardi.
Gli arresti, in genere provocati da blocchi stradali,
sono stati più numerosi sulla West Coast: solo la scorsa notte, 185 a Los
Angeles, in California, una trentina a Portland, in Oregon, dove ci sono pure
stati atti vandalici. Cortei, sit-in, manifestazioni, cominciate la sera di mercoledì,
sono proseguite per tutta la giornata e la notte di giovedì e pure ieri, che
era giorno festivo, il Veteran Day, la fine della prima Guerra Mondiale.
Il presidente eletto non gradisce: "Ho appena
vinto un'elezione presidenziale aperta e di successo – commenta acre su twitter
la notte tra giovedì e venerdì -. Adesso contestatori di professione incitati
dai media, protestano. Molto ingiusto!". Segno che ha ripreso il controllo
del suo account, che gli sarebbe stato sottratto dal suo team nelle ultime battute
della campagna elettorale.
Poi, qualcuno gli rammenta quel che dice la
Costituzione sulla libertà di espressione. Così, Trump cambia registro, ma non
social media: "Ci uniremo tutti e ne saremo orgogliosi. Mi piace che piccoli
gruppi di manifestanti mostrino la loro passione per il nostro grande
Paese". Lo showman, dunque, si propone in versione edulcorata, che sa di
posticcio.
La mappa delle proteste parte dal New England – New
York – e va ai Grandi Laghi – Chicago – e alla Bay Area di San Francisco; da
Washington e va a Detroit e a Los Angeles. Coinvolge invece meno il Sud, le
Grandi Pianure, le Montagne Rocciose, l’America più conservatrice ed
evangelica, che Trump presidente l’ha voluto o se n’è fatta subito una ragione.
In chi manifesta, e in chi ne condivide la protesta, c’è
il timore che Trump possa tradurre in pratica la deriva xenofoba, razzista e
sessista sventolata durante la campagna elettorale. Si teme anche che prendano ulteriore
vigore i gruppi suprematisti bianchi: se il Ku Klux Klan, esagerando, rivendica
un ruolo decisivo nell’elezione del magnate, sui muri delle città compaiono
scritte inquietanti, ma non sorprendenti: "Rendiamo l'America bianca
grande di nuovo", versione razzista dello slogan presidenziale.
Se i Millennials martedì scorso avessero votato
numerosi come nel 2008 e nel 2012, oggi Hillary sarebbe il presidente eletto e
loro non sarebbero in strada. Invece, la loro pigrizia ha messo le sorti delle
elezioni nelle mani dei baby-boomers ormai pensionati, consegnando la vittoria
a Trump.
La protesta è fine a se stessa?, o può cambiare le
cose? Teoricamente, una speranza c’è: è affidata all’ ‘elettore infedele’, cioè
al Grande Elettore che tradisce il proprio mandato e ribalta il verdetto delle
urne. Il sistema americano lo prevede e lo sanziona pure: 24 Stati obbligano i
Grandi Elettori ad attenersi al mandato, pena il pagamento di una multa fino a
mille dollari.
E’ difficile che accada, ma non è impossibile: attivisti
democratici, sul web, provano a fare valere che il voto popolare è stato
appannaggio della Clinton con un vantaggio su Trump di oltre 200mila preferenze,
mentre il magnate ha ottenuto nove Grandi Elettori oltre la soglia fatidica di
270.
Sulla piattaforma change.org, è stata lanciata una petizione
che ha già superato due milioni di firme: "Hillary ha vinto il voto
popolare. Trump ha 'vinto' grazie al Collegio Elettorale che, però, può dare la
Casa Bianca a qualunque candidato. Quindi, perché non usare la più
antidemocratica delle nostre istituzioni per assicurare un risultato
democratico?".
L'eventualità non si è mai verificata nella storia Usa.
Anzi, dal 1968 i casi di elettori infedeli sono stati solo sei, di cui uno per
errore, e non hanno avuto alcuna influenza sul risultato finale. E, poi, non è affatto
detto che gli infedeli voterebbero per la Clinton, e non per un altro repubblicano.
Se nessun candidato raggiungesse quota 270, la decisione toccherebbe alla
Camera, dove i repubblicani sono maggioranza.
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