Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net lo 08/11/2016 inglobando l'articolo de Il Fatto Quotidiano e riprendendo quello di Metro dello stesso giorno
La notte prima del voto è piena di stelle per Hillary Clinton
e piena di rabbia per Donald Trump. Fra poche ore, i seggi si apriranno sulla
East Coast e poi in tutta l’Unione: l’America vota e sceglie il suo 45° presidente,
forse per la prima volta una donna.
La candidata democratica finisce in fanfara: sul
palco, con lei, al comizio di chiusura a Filadelfia, il marito Bill e la
‘coppia d’assi’, il presidente Obama con la first lady Michelle, ma pure Springsteen e Bon
Jovi, che – dice – “sono repubblicano, ma voto Hillary”. Madonna, invece,
improvvisa un’esibizione al Washington Square Park di New York per incitare la
gente ad andare a votare per l’ex first lady.
Il magnate e showman chiude tra Michigan e
Pennsylvania: ''I comizi della Clinton con le star della musica umiliano la
politica'', dice, a rischio di parerne invidioso. E a Scranton sfodera la retorica
di sempre: "Hillary Clinton è il volto del fallimento, è la lunga mano di
Wall Street, d’interessi di parte e dei suoi stessi interessi. Ora è il momento
di cambiare davvero".
Finisce in calando la campagna di Trump, che ha il
fiato corto, dopo una settimana tra rimonta e speranze: sciorina slogan che
sanno già di recriminazione (“Hillary non doveva neppure correre”).
Hillary, invece, parla già da (quasi) presidente: “Voglio unire il Paese, basta con le divisioni”, dice, mentre le centenarie d’America, quelle già nate quando le donne, nel 1920, ebbero il diritto di voto, si preparano ad andare alle urne per lei. Lavorare insieme è il suo ‘leit motiv’ dell’ultimo comizio: ci pensano Barack e Bill a picconare il rivale repubblicano, che “non è qualificato” ed è “una mina vagante”.
Hillary, invece, parla già da (quasi) presidente: “Voglio unire il Paese, basta con le divisioni”, dice, mentre le centenarie d’America, quelle già nate quando le donne, nel 1920, ebbero il diritto di voto, si preparano ad andare alle urne per lei. Lavorare insieme è il suo ‘leit motiv’ dell’ultimo comizio: ci pensano Barack e Bill a picconare il rivale repubblicano, che “non è qualificato” ed è “una mina vagante”.
C’è chi descrive Trump incapace di dormire negli
ultimi, sempre ansioso che qualcuno lo rassicuri. Lo staff gli avrebbe tolto la
gestione di Twitter, per impedirgli messaggi avventati. Obama ironizza: “Non sa
gestire Twitter, figuriamoci l’atomica”. E aggiunge: “Hillary lavorerà, non
manderà solo tweet”.
Sembra una scena da ‘day after’. Ma i giochi non sono
ancora fatti. E c’è chi arzigogola sull’ipotesi che non lo siano neppure questa
notte negli Stati Uniti, all’alba di domani qui da noi: la corsa potrebbe
restare in bilico se un candidato sconosciuto alla stragrande maggioranza degli
americani, Evan McMullin, mormone, un passato da agente segreto, un presente da
repubblicano anti-Trump, dovesse imporsi nello Utah dei mormoni.
E’ un’ipotesi surreale, come surreale è stata buona parte
di questa campagna, mediaticamente dominata dai tweet e dagli insulti di Trump,
mentre i discorsi e i programmi della Clinton non bucavano né lo schermo né i
social. Il confronto s’è articolato in una contrapposizione di scandali, più
che di proposte: l’emailgate e le tasse eluse, la Clinton Foundation e la Trump
Foundation, le storie di donne di Bill e quelle di Donald.
La più vecchia e più potente democrazia occidentale
merita meglio degli slogan di Trump, il muro e le deportazioni per l’immigrazione,
il ‘cavallo di troia’ per l’Islam, ‘law and order’ per la sicurezza. Ma i piani
della Clinton non hanno mai fatto titolo.
Il finale di partita ha poi visto l’Fbi protagonista:
a dieci giorni dall’Election Day, ha riaperto, battendo la grancassa, un’inchiesta,
archiviata a luglio, contro Hillary, per l’emailgate, cioè l’utilizzo di un
account privato quand’era segretario di Stato invece di quello ufficiale; a due
giorni dal voto, in sordina, l’ha richiusa, confermando il ‘non luogo a
procedere’, ma lasciando in tutti l’impressione che non ci sia stato il tempo
per vagliare la massa di mail disponibile. Insomma, peggio la tappa del buco,
per la credibilità dell’Fbi: da domani, si regoleranno i conti.
Ieri, per tutta la giornata, i sondaggi si sono succeduti,
concordi: la democratica è avanti, di poco, nelle intenzioni di voto a livello
nazionale. Nel computo dei Grandi Elettori, Hillary è sotto la soglia dei 270
sicuri, ma è molto avanti a Donald. Sul sito di Fivethirtyeight.com, le chances
di Trump, risalite dal 12,5 al 37%, ridiscendono al 31%.
Un indicatore è significativo: quasi per la prima
volta, ci sono sui media più titoli per la Clinton che per Trump. La stampa Usa
non ha bisogno di salire sul carro del vincitore, perché la scelta di campo pro
– Hillary l’ha fatta da tempo, ma incomincia a sottrarsi alla bulimia di
notizie sul magnate. Ed è boom delle scommesse sulla vittoria dell’ex first
lady: si vince poco, ma non si perde niente.
Se verso le 2 del mattino si vedrà in tv la mappa
dell’Unione tingersi tutta di blu democratico in alto a destra, dal New England
alla Pennsylvania fin giù alla Virginia, vorrà dire che i giochi per Hillary
saranno quasi fatti: per diventare la prima donna presidente degli Stati Uniti,
le basterà vincere almeno uno dei tre Stati in bilico per antonomasia di Usa
2016, la North Carolina, dove pesa il voto nero, la Florida, dove pesa il voto
ispanico, e l’Ohio dove pesa il voto di quelli che una volta erano gli operai
del manifatturiero e che ora non hanno lavoro.
Oggi, non si vota solo per il presidente e il
vicepresidente. Si rinnova parzialmente il Congresso: tutta la Camera, 435
seggi – oggi, 247 repubblicani e 188 democratici -, e un terzo del Senato, 34
seggi – 24 repubblicani e 10 democratici - su 100 – oggi, 54 repubblicani, 44
democratici e due indipendenti che votano per lo più democratico –, oltre a 12
governatori - sette democratici e cinque repubblicani - su 50. I democratici
possono riconquistare il Senato, i repubblicani possono conservare la maggioranza
alla Camera. Ci sono, inoltre, migliaia di consultazioni statali e locali e
molti referendum statali e locali.
Nessun commento:
Posta un commento