Scritto per Il Fatto Quotidiano del 18/11/2016
Se l’obiettivo era tenere Donald Trump lontano dallo
Studio Ovale, i democratici sembra l’abbiano raggiunto, almeno per un anno. Ma
se l’obiettivo era tenerlo lontano dal potere, allora è un altro discorso. Per
un bel pezzo del suo mandato alla Casa Bianca, il presidente eletto sarà forse
costretto a trasferirsi "nel vecchio ufficio di Richard Nixon nell'Old
Executive Office Building". Un riferimento non proprio incoraggiante.
Lo rivela alla Fox Karl Rove, l’ex consigliere di
George W. Bush: Barack Obama non ha voluto avviare i lavori di restyling del
suo ufficio – questioni di sicurezza, non solo di tappezzeria -, preferendo
lasciarne le scelte al suo successore. Per Trump, che è a suo agio anche nella
lussuosa casa / ufficio sulla 5° Strada a New York, non sarà un grosso
problema.
A impegnare il magnate in queste ore, non sono i
problemi logistici, ma la definizione della squadra da mettere in campo alla
guida dell’Unione. C’è chi se ne va – il direttore dell’Intelligence James
Clapper -; e chi promettere di restare, magari remando contro-corrente – la
presidente della Fed Janet Yellen -.
Clapper è il primo alto dirigente dell’Amministrazione
Obama a dare le dimissioni, anche se – dice, durante un’audizione in Congresso
– “ho ancora 64 giorni” (lascerà il giorno dell’uscita di scena d’Obama).
Le dimissioni dei vertici delle Agenzie federali
dell'Amministrazione uscente sono una prassi, dopo l'elezione presidenziale,
nell'ottica di un rinnovamento degli incarichi, soprattutto per i ruoli più
delicati e di fiducia, come quelli dell’intelligence. Nessun segnale finora da
altri alti dirigenti, come il direttore dell'Fbi James Comey, che ha giocato un
ruolo forse decisivo nell’elezione di Trump, riaprendo le indagini sull’emailgate,
a carico di Hillary Clinton, a dieci giorni dall’Election Day e richiudendole
dopo una settimana, a ridosso del voto. Comey, se vuole, può restare al suo
posto fino a fine mandato.
Chi non ci pensa proprio ad andarsene, né può essere
rimossa, è la Yellen, che dal 2014 è alla guida della Federal Reserve: “Non vedo
perché non potrei servire l'intero mandato alla Fed. Ho intenzione di restare
per tutti i miei quattro anni''. Trump l'ha recentemente accusata di essere
politicizzata, alimentando le indiscrezioni che in caso di una sua vittoria si
sarebbe dimessa. Ma la Yellen non gli darà questa soddisfazione: mette in
risalto i progressi dell’economia sotto la guida di Obama (e sua) ed è cauta sulle
intenzioni espresse dal presidente eletto. ''Quando le nuove politiche saranno
chiare, la Fed ne terrà conto nel fare le sue valutazioni'', guardando soprattutto
all'impatto sull’occupazione.
Gente che va, gente che resta. E chi arriva? Qui, dopo
le nomine degli addetti alla cucina interna della Casa Bianca, Priebus e Bannon,
Trump s’è un po’ arenato sullo scoglio del segretario di Stato: alla sua prima
scelta, Rudolph Giuliani, l’ex sindaco di New York, la stampa ha scovato
conflitti d’interesse; al candidato del partito, l’ambasciatore John Bolton,
molti rimproverano rigidità e asprezze di carattere. E’ saltato fuori il nome
di Nikki Haley, governatrice della South Carolina, figlia d’immigrati indiani,
astro nascente della destra moderata: una bella scelta, se non fosse che Nikki,
in campagna elettorale, spesso s’è esplicitamente schierata contro Trump. Che,
intanto, riceve Henry Kissinger, per cominciare a capirme qualcosa di esteri, e
s’appresta a incontrare il primo leader straniero, il premier giapponese Shinzo
Abe.
Il presidente eletto ha ancora problemi con il team che deve gestire la transizione – i lobbisti ne escono - e con le ambizioni dei familiari, figli e genero. Inoltre, alcuni ex rivali divenuti suoi sostenitori si presentano all’incasso: a parte il cado del governatore del New Jersey Chris Christie, che non si capisce se sia caduto in disgrazia, s’è fatto avanti il guru nero, ed ex neuro-chirurgo, Ben Carson, che si propone come responsabile dell’educazione nazionale: il suo credo oscurantista è il biglietto da visita giusto per l’America fondamentalista e creazionista.
Il presidente eletto ha ancora problemi con il team che deve gestire la transizione – i lobbisti ne escono - e con le ambizioni dei familiari, figli e genero. Inoltre, alcuni ex rivali divenuti suoi sostenitori si presentano all’incasso: a parte il cado del governatore del New Jersey Chris Christie, che non si capisce se sia caduto in disgrazia, s’è fatto avanti il guru nero, ed ex neuro-chirurgo, Ben Carson, che si propone come responsabile dell’educazione nazionale: il suo credo oscurantista è il biglietto da visita giusto per l’America fondamentalista e creazionista.
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