Scritto per Il Fatto Quotidiano del 14/11/2016
Donald
Trump riceve a casa sua Nigel Farage e tiene fuori dalla porta Michael Moore,
mentre almeno 15mila persone gli sfilano protestando sotto la Trump Tower sulla
5a Strada a New York, ormai militarizzata per evitare incidenti e incursioni. L’artefice
della Brexit è l’unico politico straniero finora ammesso alla presenza del
presidente eletto degli Stati Uniti, che non ha dato eco alle lettere dei
leader dell’Unione europea e del segretario generale della Nato Jens
Stoltenberg. L’ex premier norvegese lo avverte che neppure l’America, malgrado
la sua cospicua potenza, può affrontare da sola, senza gli alleati europei, le
sfide della sicurezza.
In un
clima di tensione, che le dichiarazioni altalenanti di Trump non contribuiscono
ad attenuare, nonostante parte della stampa si sforzi di trovarvi del buono, il
presidente Barack Obama s’appresta a iniziare, domani, la sua ultima missione
europea, ad Atene, dove il premier Tsipras se ne aspetta un incoraggiamento, e
a Berlino, dove incontrerà il ‘club delle anatre zoppe’, leader come lui tutti
o a fine mandato o indeboliti da scadenze elettorali. Gli europei lo faranno certo
partecipi dei timori d’un neo-isolazionismo americano e dell’imprevedibilità
del suo successore: ieri sera, a Bruxelles, c’è stato, su questo, un consulto
fra i ministri degli Esteri dei 28.
Trump, che
nelle dichiarazioni si direbbe alterni zuccherini e olio di ricino, conferma la
linea dura sull'emigrazione della sua campagna: via subito due/tre milioni di
immigrati clandestini sugli 11 milioni stimati, e su il muro al confine con il
Messico (che, in certi tratti, sarà una recinzione, ma poco cambia).
Il fine
settimana non ha attenuato, ma ha anzi ampliato le proteste anti-Trump, che
vanno ormai avanti da quattro notti e quattro giorni. New York e Los Angeles
registrano le manifestazioni più numerose, Portland in Oregon quelle più
virulente. Cortei e sit-in sono, in genere, pacifici, ma ci sono stati
centinaia di arresti, specie quando i manifestanti non rispettavano gli spazi
loro riservati – è accaduto soprattutto a Los Angeles, al MacArthur Park -.
Il tema
della protesta è ovunque ‘Not my President’, ma a Chicago, la città degli Obama
e di Hillary Rodham Clinton, il messaggio è stato più articolato: "No
all'odio. No alla paura. Benvenuti migranti". A New York, la marcia è
partita da Union Square ed ha risalito Manhattan verso nord, verso la Trump
Tower, davanti alla quale sono stati collocati blocchi di cemento
anti-autobombe, mezzo blindati leggeri e transenne.
La
manifestazioni proseguiranno nei prossimi giorni: una, la 'marcia di un milione
di donne’, si farà a Washington il giorno dell’insediamento di Trump, il 20
gennaio. Ma c’è pure chi vuole esprimere il proprio sostegno al presidente
eletto: il Ku Klux Klan lo vuole fare a Charlotte, North Carolina.
Il regista
Michael Moore, che aveva predetto l’elezione di Trump, pur avendo cercato di
sventarla con il docu-film ‘TrumpLand’, s’è addentrato nel grattacielo dove il
magnate e la sua famiglia vivono, ma non è riuscito ad accedere ai tre ultimi
piani, quelli occupati dai Trump: ha documentato tutto con un videofonino e ha
lasciato un messaggio per il presidente eletto.
Il leader
euro-scettico Farage non ha invece avuto nessun problema a essere ricevuto da
Trump: gli è stato mentore prima dei dibattiti televisivi e ne condivide la
linea sull’immigrazione; e adesso lo convince a rimettere nello Studio Ovale il
busto di Winston Churchill che George W. Bush aveva e che Obama ha tolto.
Dopo 72
ore di silenzio, è tornata a farsi sentire la candidata democratica sconfitta.
Hillary Clinton, in una conference call con i suoi donatori, di cui riferiscono
media Usa, attribuisce la responsabilità della disfatta al direttore dell'Fbi
James Comey, l’uomo che annunciò la riapertura dell’inchiesta sulle sue mail il
28 ottobre e la richiuse il 5 novembre. Entrambe le mosse ebbero effetto
negativo per la Clinton, che, a fine ottobre, aveva il vento dei sondaggi in
poppa, mentre Trump annaspava.
"La nostra
analisi – ha detto l’ex first lady ai suoi finanziatori - è che Comey prima,
seminando dubbi senza fondamento, fermò il nostro slancio e poi fece ancora più
danni, rafforzando l'idea, sostenuta da Trump, che il sistema sia
truccato".
Tra
interviste e incontri, Trump lavora alla sua nuova squadra. E prepara i primi
contatti con leader di governo esteri: in pole position, per incontrarlo, il
premier israeliano Benjamin Netanyahu. Lui e Obama non si potevano proprio
sopportare.
Nessun commento:
Posta un commento