Scritto per EurActiv lo 07/10/2013
L’Italia è stata leader in
Europa, sulla ratifica del trattato sul commercio delle armi illegali. Ma, ora,
gli occhi sono puntati al Parlamento europeo, senza il cui voto il deposito
delle ratifiche non può avvenire.
Del trattato e delle prospettive
di un mercato comune della difesa, preludio ed elemento costituente di una
difesa europea, si è parlato nella Sala del Mappamondo di Montecitorio, in un convegno
dal titolo 'Più regole, meno violenze - Aspetti innovativi del Trattato
internazionale sul commercio delle armi'.
Guardano al Vertice europeo di
metà dicembre, dedicato alla difesa, e, in particolare, all’attuazione d’un
mercato comune in tale ambito, il ministro della Difesa Mario Mauro non
nasconde il rischio che l’appuntamento sia un festival del “dire senza fare”,
mentre –a fronte di una situazione in cui i 28 dell’Ue spendono per la difesa
più di Usa, Russia e Cina- la prospettiva dovrebbe essere quella di una messa
in comune delle risorse nella prospettiva di una difesa europea.
Per il ministro, il trattato
rappresenta “un passo avanti”: Esso, sottolinea la presidente della Camera
Laura Boldrini, "è frutto del lavoro di un'ampia coalizione internazionale,
un ampio fronte che deve continuare a battersi perché serve uno sforzo globale,
multilaterale e bilaterale per l'entrata in vigore".
Ad oggi, il trattato, approvato
da 154 Paesi, e' stato "ratificato da meno di 10 Paesi" e ne servono
50 perché entri in vigore. Si tratta – parole della Boldrini - di "uno
strumento potente per ridurre il commercio delle armi illegali perché avere
meno armi in circolazione significa avere meno atrocità e meno violenze".
E la presidente della Camera, ex
funzionaria Onu, ricorda –come vari altri oratori- che “sempre più spesso le
armi vengono puntate contro civili e operatori umanitari” e che “vengono
bloccati per giorni convogli di aiuti”:
“in questi anni abbiamo perso tanto personale delle ong, tanti
colleghi", mentre donne e bambini sono le principali vittime delle armi in
qualsiasi contesto esse siano usate.
Al convegno, li interventi
introduttivi sono stati tenuti da Marta Dassù, vice-ministro degli Esteri, e da
Franco Frattini, presidente della Società italiana per l'Organizzazione internazionale (Sioi). Le relazioni sono state
svolte da Maria Zappia, rappresentante permanente dell'Ue presso l'Ufficio
dell’Onu a Ginevra; Mari Skare, rappresentante speciale del segretario generale
della Nato per donne, pace e sicurezza; Giuseppe Schiavello, direttore della
Campagna italiana contro le mine, Emma Hopkins, capo dell'iniziativa per la
prevenzione della violenza di genere, al Ministero degli Esteri del Regno
Unito. Le conclusioni sono state affidate a Federica Mogherini, presidente
della delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare della Nato, e al
ministro Mauro.
Per convincersi che il trattato
sul commercio delle armi illegali sia una buona cosa, basta guardare a chi s’è
battuto contro: Corea del Nord, Siria e Iran. E per avere la prova che esso non
riguarda solo situazioni di conflitto, basta vedere che, fra i primi a
ratificarlo, vi sono stati –osserva la Zappia-Messico e
Nigeria, Paesi che subiscono la violenza della criminalità e del terrorismo.
Bisogna però coinvolgere
nell’attuazione i grandi esportatori, Stati Uniti, Russia, Cina, che coprono il
60% dell’export mondiale di armamenti -il resto è sostanzialmente assicurato
dall’Ue- e convincere l’industria che le nuove regole sono nel suo interesse,
oltre che giocare sull’impegno della società civile, spesso già in prima linea
in questa battaglia.
Le armi convenzionali –osserva
Frattini- sono “uno strumento strategico micidiale”: sono esse le vere armi di
distruzione di massa perché, dopo la Seconda
Guerra Mondiale, hanno ucciso decine di milioni di persone,
mentre le armi chimiche e nucleari, il cui potenziale è di per sé dissuasivo, sono
stati usati sporadicamente –i gas- e mai –l’atomica-.
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