Scritto per il blog de Il Fatto il 18/10/2013
Una premessa, innanzitutto: l’incontro tra Letta e Obama, ieri, alla Casa
Bianca, è stato “un successo”, cioè è andato bene, come doveva andare, forse un
po’ meglio di come poteva andare. E per Obama, vedere finalmente nello Studio Ovale
qualcuno che non l’aggrediva parlando di ‘shutdown’, ‘default’ e ‘Obamacare’ è
stato, comunque, un sollievo.
Dunque, non siamo qui a cercare di sminuire l’appuntamento, né la sincerità
dello scambio di reciproche carinerie. Obama dice di Letta, la sua leadership
mi ha impressionato. Letta dice di Obama, la sua accoglienza mi dà grande
ottimismo.
Fatta la premessa, permettetemi una considerazione: comunque fosse andata,
sarebbe stato un successo, almeno per la stampa italiana. A memoria di Dopo
Guerra, non c’è – credo - un incontro ravvicinato tra un presidente americano e
un presidente del Consiglio italiano che, nelle cronache nostrane, non sia
stato un successo. E’, forse, è sempre stato vero, almeno nel senso che, al di
là della ‘chimica’ personale, gli elementi di consenso hanno sempre prevalso su
quelli, spesso timidi, di dissenso.
Con l’eccezione degli incontri sempre caratterizzati da una patina di
percepibile imbarazzo tra il presidente Obama e Silvio Berlusconi. Tanto che, a
un certo punto, Obama, facendo una capriola istituzionale, si inventò come interlocutore
italiano ed europeo il presidente Napolitano, invitato a prendere un te alla
Casa Bianca, pur di tenersi a distanza dall'imprevedibile Mr B, che aveva messo
su il teatrino del G8 del Terremoto nel 2009 e ficcato il naso nella scollatura
di Michelle al G20 di Pittsburgh pochi mesi dopo e che poi gli si era
inginocchiato accanto al G8 di Deauville nel 2011, mormorando giaculatorie
contro i giudici.
Questione di aplomb, prima ancora che di politica. Ma se andiamo a prendere
le cronache dei contatti con Napolitano e, ancor più, con Mario Monti, toni e
apprezzamenti sono molto simili a quelli dell’incontro di ieri con Letta. Che,
però, rispetto al predecessore, più professore e, magari, un po’ più
personalmente autorevole, ha goduto di due vantaggi.
Uno è quello generazionale, perché Barack ed Enrico sono politicamente
coetanei. L’altro è, invece, occasionale: un premier italiano non aveva mai
incontrato un presidente Usa trovandosi quasi in posizione di superiorità
economica, visto che l’Italia, abituata a tenersi un passo lontano dall'abisso,
non è mai stata così vicina al ‘default’ come gli Stati Uniti nella notte tra
mercoledì e giovedì.
E pure la soluzione trovata per porre un termine allo ‘shutdown’ ed evitare
il ‘default’ è così di corto respiro da rivalutare i governi balneari della
prima Repubblica, quelli di solito affidati a Giovanni Leone: l’Amministrazione
federale riapre fino al 15 gennaio ed il tetto del debito è stato innalzato
fino al 7 febbraio.
E potete stare certi che, se noi, di qui ad allora, non saremo usciti dalle
peste dei ‘tira e molla’ sulla Legge di Stabilità, loro rischiano di
ritrovarsi, fra tre mesi, esattamente là dov'erano 48 ore or sono. Obama dice
che non ci sono stati vincitori in questa vicenda. Ma, di sicuro, hanno perso
gli americani - 24 miliardi di dollari, lo 0,6% del Pil ed un punto di crescita
annuo, si calcola - e l’America, uscitane meno credibile sulla scena mondiale
finanziaria, economica, politica.
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