Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano il 17/03/2014
Il referendum in Crimea ha dato il risultato scontato: un’ampia
partecipazione e una maggioranza oltre il 90% a favore dell’adesione della
penisola alla Russia. Per i prossimi giorni, il percorso è chiaramente tracciato:
oggi, sanzioni ‘blande’ Ue e un po’ più ‘toste’ Usa, mentre Simferopoli
formalizza a Mosca la richiesta di reintegro; giovedì, la Duma russa comincia
l’esame della legge che consentirà il ritorno della Crimea, mentre il Vertice
europeo valuterà ulteriori mosse; poi, ci sarà, la settimana prossima, la
missione europea del presidente Obama, con ulteriori concertazioni del
riesumato Occidente, ma pure un vertice all’Aja delle potenze nucleari.
Il punto, ora, non sono le sanzioni che saranno decise –per
il momento, avendo cura di non farsi male a vicenda- e le dichiarazioni che
saranno pubblicate. Il punto è se il reintegro della Crimea è, per Mosca, una
stazione d’arrivo, dopo di che si apre una fase negoziale con l’Ucraina, o se è
solo una stazione di transito verso ingerenze o addirittura intromissioni nell'Ucraina
orientale, a tutela – asserita - dei diritti più o meno violati dei russofoni
filo-russi che lì vivono.
Nel primo caso, la crisi troverà, prima o poi, un punto di
equilibrio in una situazione di fatto, magari non riconosciuta, ma neppure
troppo contestata, che non impedirà a termine il ‘business as usual’ della
diplomazia e, soprattutto, degli affari.
Nel secondo caso, invece, la crisi si inasprirà: toni
esasperati, conseguenze non prevedibili, davvero un ritorno al clima e ai modi
della Guerra Fredda, culmine della nostalgia di bipolarismo nell'era della
globalizzazione.
Non è solo Mosca, però, a doversi fermare. Pure l’Occidente non deve spingere troppo in là il gioco in Ucraina: la firma, giovedì, dell’accordo di associazione –per ora un documento politico, in attesa dei contenuti economici- non deve essere preludio di una precipitosa adesione; e neppure si può pensare a stringere i tempi per l’ingresso nella Nato. Prima, bisogna che l’Ucraina trovi, dopo le prossime elezioni, un equilibrio e un dialogo tra le sue componenti territoriali, etniche, linguistiche e politiche, che, dall'indipendenza, non ha praticamente mai avuto.
Non è solo Mosca, però, a doversi fermare. Pure l’Occidente non deve spingere troppo in là il gioco in Ucraina: la firma, giovedì, dell’accordo di associazione –per ora un documento politico, in attesa dei contenuti economici- non deve essere preludio di una precipitosa adesione; e neppure si può pensare a stringere i tempi per l’ingresso nella Nato. Prima, bisogna che l’Ucraina trovi, dopo le prossime elezioni, un equilibrio e un dialogo tra le sue componenti territoriali, etniche, linguistiche e politiche, che, dall'indipendenza, non ha praticamente mai avuto.
E' la (dura) realtà.
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