Uscito su Il Fatto Quotidiano del 17/03/2014 e, in altra versione, su AffarInternazionali stesso giorno
Che ci provi Matteo Renzi,
se ci riesce, a rottamare l’eurocrazia ‘eccellente’, che schiera i suoi
campioni ai nastri di partenza dell’inedita corsa alla presidenza della
Commissione europea: hanno suppergiù 60 anni, ma sono lì da una vita e gliene
daresti molti di più. Tanto per predicare bene e razzolare male, Renzi s’è
subito schierato dietro un monumento della liturgia politica europea: Martin
Schulz, vent’anni di Parlamento europeo alle spalle e l’ambizione di farne
cinque, se non dieci, alla presidenza dell’Esecutivo comunitario.
I partiti europei hanno
calato un pokerissimo di uomini -che siano assi, non pare; magari fanti-; e si
tengono la donna nella manica. Tsipras e verdi a parte, destinati al ruolo di
‘guastatori’, manca però un nome che sia garanzia di svolta economica e di
rilancio politico dell’integrazione europea. L’eurocrazia, sentendosi
minacciata dall’euro-scetticismo, s’abbarbica al potere ed è pronta a giocare a
Strasburgo – ancora?, una persecuzione! - le grandi intese.
A 10 settimane dalle
elezioni europee, tutte le maggiori famiglie politiche europee hanno ormai
scelto il loro candidato alla presidenza della Commissione europea: popolari,
socialisti, liberali e sinistra puntano secco su un campione; i verdi vanno
avanti con una coppia uomo/donna. I conservatori non avranno un candidato; e
neppure gli euro-scettici. Nessun italiano in lizza, ma la presenza di Mario
Draghi alla presidenza della Banca centrale europea affossa a priori ogni
ipotesi di candidatura italiana.
La possibilità di esprimere
una preferenza sul prossimo presidente dell’Esecutivo è la grande novità delle
elezioni europee del prossimo maggio, anche se l’opzione espressa dai cittadini
europei non sarà vincolante per i capi di Stato e di governo dei 28, che si
riuniranno a Bruxelles la sera del 27 maggio -48 ore dopo la chiusura delle
urne- per valutare l’esito del voto ed eventualmente trarne le conseguenze. La
designazione del presidente della Commissione spetta al Consiglio europeo, la
cui scelta deve poi essere confermata dall'investitura del Parlamento europeo,
che non si pronuncerà prima di settembre.
A parte il greco Alexis
Tsipras, leader di Syriza, che potrebbe uscire dalle europee come prima forza
politica greca, e i volti verdi –un maturo agricoltore francese
anti-globalizzazione, José Bové, 61 anni, sulla breccia dai moti di Montreal, e
una fresca ecologista tedesca, Ska Keller, la più giovane del lotto con i suoi
33 anni-, le famiglie politiche europee tradizionali non hanno puntato su
figure emergenti: l’ex premier lussemburghese e presidente dell’Eurogruppo
Jean-Claude Juncker, popolare; l’attuale presidente del Parlamento europeo, il
tedesco Martin Schulz, socialista; e l’ex premier belga Guy Verhiofstadt,
liberale. Tutti vengono da Paesi fondatori della Cee e protagonisti fin
dall'inizio dell’integrazione europea.
La novità del lotto è Tsipras: può ottenere un’affermazione
personale, pure in Italia, nonostante la litigiosità della lista che lo
sostiene, ma non ha possibilità di spuntarla per la presidenza della
Commissione. Ateniese, 40 anni, è stato giovane comunista e poi radicale di
sinistra: è la connotazione del partito che guida, Syriza, euro-critico, ma non
euro-scettico, quasi il 27% dei voti alle ultime politiche, probabilmente di
più alle prossime europee.
La partita vera si gioca tra Junker, Schulz e Verhostadt, senza
escludere che possa, alla fine, saltare fuori un outsider. I tre battistrada
sono tutti intorno ai sessant'anni (rispettivamente, 60, 59 e 61 anni –e il più
anziano pare il più giovane-) e sono tutti da tanto tempo sulla scena politica
europea da essere considerati dei veterani e, per quanto riguarda Juncker, addirittura
un sopravvissuto –è un doppio ex: ex premier lussemburghese, con un’anzianità
di servizio da fare invidia a Helmut Kohl (dal 1995 al 2013), ed ex presidente
dell’Eurogruppo-.
Dopo l’estromissione dalla guida dell’Eurogruppo, un suo feudo
dalla sua creazione nel 2005, e dopo la crisi politica granducale, che gli è
costata il posto da premier, anche se il suo partito ha rivinto le elezioni,
Juncker pareva fuori gioco. Il campo dei popolari, inizialmente ingombro di
candidati, s’è però ridotto, alla fine, a un duello tra lui e il commissario ed
ex ministro francese Michel Barnier. L’ha spuntata Junker, forte dell’appoggio
della Cdu tedesca, di cui parla la stessa lingua, in politica, in economia, nel
sociale.
L’avversario più pericoloso è Schulz, nato a Hehlrath.
Socialdemocratico da sempre, tedesco, sindaco a 31 anni nella Renania
settentrionale – Vestfalia, è deputato a Strasburgo dal 1994: nel 2000, è
presidente della delegazione dei socialdemocratici tedeschi; quattro anni dopo
guida il gruppo socialista; nel gennaio 2012 diviene presidente dell’Assemblea.
In Italia, fino a qualche tempo fa, era noto soprattutto perché Silvio
Berlusconi, infastidito dalle sue critiche, gli diede del kapò in aula.
Verhofstad, fiammingo di
Gand, ha una carriera politica essenzialmente nazionale, riuscendo –lui,
liberale- a diventare premier del Paese. In Europa, Verhofstadt c’è dal 2009,
europarlamentare e presidente del gruppo politico Alde.
Dei tre, Verhofstadt è
l’unico federalista, Schulz sarebbe forse garante di una nuova alleanza tra
Commissione e Parlamento, Juncker appare un uomo del Consiglio, avendone fatto
parte ininterrottamente per un quarto di secolo. Dal punto di vista della
nazionalità, la Germania
non ha più avuto un presidente dell’Esecutivo dopo il primo, che fu Walter
Hallstein –è passato oltre mezzo secolo-; il Belgio non l’ha più avuto da Jean
Rey, il successore di Hallstein; invece, il Lussemburgo ne ha già avuti due,
Gaston Thorn, liberale, e Jacques Santer, popolare. Entrambi, un disastro: Thorn
non fu confermato, dopo un quadriennio paralizzato dal ‘problema britannico’;
Santer dovette addirittura lasciare in anticipo, travolto dagli scandali del
suo Esecutivo.
Dal punto di vista politico, può suscitare qualche curiosità il ‘conflitto d’interessi’ della cancelliera tedesca Angela Merkel: come popolare, sostiene Juncker, che è abbastanza tedesco del suo; come tedesca, non dovrebbe essere troppo ostile a Schulz, tanto più che i socialdemocratici sono suoi alleati nell'attuale coalizione. Certo, il garbuglio sarebbe stato maggiore se il Ppe avesse puntato sul francese Michel Barnier: il presidente François Hollande e la cancelliera Merkel si sarebbero trovati a sostenere candidati incrociati.
Dal punto di vista politico, può suscitare qualche curiosità il ‘conflitto d’interessi’ della cancelliera tedesca Angela Merkel: come popolare, sostiene Juncker, che è abbastanza tedesco del suo; come tedesca, non dovrebbe essere troppo ostile a Schulz, tanto più che i socialdemocratici sono suoi alleati nell'attuale coalizione. Certo, il garbuglio sarebbe stato maggiore se il Ppe avesse puntato sul francese Michel Barnier: il presidente François Hollande e la cancelliera Merkel si sarebbero trovati a sostenere candidati incrociati.
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