Scritto per Il Fatto Quotidiano del 24/03/2014
Quella sigla di quattro lettere, Ttip,
infelice e difficile da pronunciare in qualsiasi lingua, sembrava un toccasana
contro la crisi. Poi, scoppiò il Datagate e, di colpo, la fiducia tra le due
sponde dell’Atlantico si raffreddò. Ma l’area di libero scambio transatlantica
resta una prospettiva concreta, anche se, oggi, nessuno la dipinge più come
l’Eldorado delle Vecchie Economie, la Terra
Promessa della Nuova Alleanza d’un Occidente che insegue il
Primato Perduto della crescita e del lavoro.
Nessuno si illuda, avvertiva la scorsa
settimana Franco Bassanini, presidente della Cassa Depositi e Prestiti,
intervenendo a un convegno sulle prospettive economiche, che il Ttip valga il
4% del Pil. Ma qualche punto decimale alla crescita transatlantica può aggiungerlo.
E, di questi tempi, nessuno ci rinuncerebbe a cuor leggero.
Se
è impossibile calcolare l'impatto dell’accordo, mancandone gli estremi, soprattutto
per quanto riguarda le barriere non tariffarie, uno studio citato dalla Commissione
europea stima la crescita dell'economia Usa a 90 miliardi di euro e quello
dell'economia europea a 120 miliardi di euro, cioè tra lo lo 0,5% e l’1% del
Pil, con un beneficio di 545 euro l'anno a famiglia. Non sarà proprio “mettere il turbo nel motore”, come qualcuno aveva ottimisticamente
detto, ma vale almeno quanto le promesse di Renzi –mille euro l’anno a
famiglia, ma solo per 10 milioni di famiglie-.
Pure i tempi dell’intesa vanno
stemperati, rispetto all'ottimismo iniziale. La Commissione europea in
carica, che chiude il mandato quest’autunno, ha già accantonato l’ambizione di
condurre in porto il progetto; e l’Italia non potrà concludere le trattative
sotto la sua presidenza, nel secondo semestre di quest’anno. Dei protagonisti
del negoziato attuali, solo il presidente Obama può ragionevolmente pensare di
portarlo a compimento prima di lasciare la
Casa Bianca , cioè entro il 2016.
Per capirci qualcosa, bisogna, prima di
tutto, mettere ordine nelle sigle. Oggi si parla di Ttip, cioè Transatlantic
Trade and Investment Partnership, ma l’obiettivo è la Tafta (Transatlantic Free
Trade Area), che è a sua volta un ‘combinato disposto’ tra la Nafta (la North American Free
Trade Area, che somma Usa, Canada e Messico) e la Efta (European Free Trade
Association), poi evoluta in See (Spazio economico europeo), che comprende
l’Ue, ma anche Svizzera, Liechtenstein, Norvegia e Islanda.
Quindi, andiamo al di là degli 800
milioni di cittadini consumatori statunitensi ed europei: tocchiamo un miliardo
di persone a potere d’acquisto molto alto, specie se comparato con altre aree
di questo mondo. Il Vertice Ue-Usa di mercoledì a Bruxelles , con il presidente
Obama, sarà l’occasione di fare il punto delle trattative, che vanno avanti –il
quarto round s’è concluso a metà marzo- a ritmo lento, dopo avere evitato il
rischio di uno stop a tempo indeterminato.
La tentazione di chiederlo era venuta al
Parlamento europeo, nel pieno del Datagate. E pochi giorni fa l’Assemblea di
Strasburgo, ormai agli sgoccioli della legislatura, ha di nuovo messo in
guardia i negoziatori europei dalle scorrettezze dell'intelligence
statunitense.
L’idea della Tafta non è nuova.
Germoglia negli Anni Novanta e prende vigore quando, a cavallo del Millennio,
gli Stati Uniti e i loro vicini creano la Nafta. Dopo gli allarmi
anti-globalizzazione e le fobie anti-terrorismo d’inizio XXI Secolo, il
progetto torna forte e attuale come risposta liberista e mercantilista alla
crisi finanziaria che, dal 2008, affossa l’economia mondiale e colpisce duro
Nord America ed Europa, aree meno dinamiche dei Paesi emergenti. Il rilancio
degli scambi è anche un modo per ridare spinta all'economia reale e
all'industria manifatturiera.
Nei primi round di trattative, sono stati fatti "buoni progressi"
ma "è necessario più lavoro su tutti gli aspetti": "i nostri negoziatori devono accelerare
il passo", ha detto il commissario al commercio dell’Ue Karel De Gucht al
termine dell’ennesimo incontro con l’omologo Usa Michael Froman. Fra i
maggiori nodi da sciogliere, le regolamentazioni agroalimentari e farmaceutiche
e la protezione degli investimenti. L'obiettivo, chiariscono le fonti
americane, non è incidere sulla capacità dei regolatori di proteggere la salute
e la sicurezza, ma evitare i doppi test ed eliminare tutte le divergenze superflue.
E c’è il miraggio di eliminare, una volta per tutte, le ‘guerre commerciali’
che hanno spesso agitato l’Atlantico, a partire dalla più tosta di tutte,
quella dell’acciaio.
Dall’inizio dell’anno,
le sessioni negoziali proseguono al ritmo di una al mese. Un settore in cui
sono stati fatti "progressi particolarmente buoni" –le fonti sono
sempre Usa- è quello delle Pmi: "Vogliamo che queste traggano benefici da
questo accordo tanto quanto le grandi aziende". Anzi, proprio i 50
milioni di piccole e medie imprese di America ed Europa sono i principali destinatari
del Ttip. Le Pmi esportatrici sono quelle che crescono, investono e creano
buona occupazione e sono le prime a risentire di dazi e barriere non
tariffarie: l’export transatlantico europeo potrebbe compiere un balzo del 28%,
una volta fatta l’intesa.
Una delle preoccupazioni percepite nell'Unione è che l'accordo commerciale transatlantico abbassi gli standard europei in materia di protezione dei consumatori, tutela dell’ambiente, tracciabilità dei prodotti alimentari, riservatezza dei dati personali. De Gucht assicura che "questi valori non sono sul tavolo dei negoziati" e insiste sul "controllo democratico a ogni passo" delle trattative, condotte dalla Commissione, da parte del Parlamento europeo e degli Stati membri.
Una delle preoccupazioni percepite nell'Unione è che l'accordo commerciale transatlantico abbassi gli standard europei in materia di protezione dei consumatori, tutela dell’ambiente, tracciabilità dei prodotti alimentari, riservatezza dei dati personali. De Gucht assicura che "questi valori non sono sul tavolo dei negoziati" e insiste sul "controllo democratico a ogni passo" delle trattative, condotte dalla Commissione, da parte del Parlamento europeo e degli Stati membri.
Per placare le polemiche e calmare le
preoccupazioni che fin dall'inizio pesano sui negoziati, Bruxelles gioca la
carta della trasparenza: ha infatti nominato un gruppo di esperti dei vari
settori (rappresentanti degli industriali, dei sindacati, degli ambientalisti),
che vengono informati e consultati in tempo reale e cui viene anche fornito
l'accesso ai documenti riservati. Del gruppo fanno parte tra gli altri esponenti
di BusinessEurope (confindustrie), Etuc (sindacati), Copa-Cogeca (agricoltori e
cooperative agricole), Beuc (consumatori), Acea (auto), Vci (chimica), Epha
(salute).
Prosegue inoltre la pubblicazione delle posizioni di partenza della Commissione sui dossier chiave, come quello sui servizi finanziari, accessibili su internet. I mandati negoziati sono stati approvati dai 28, ma le trattative vengono condotte dall’Esecutivo comunitario. I capi dei team che trattano sono Ignacio Garcia Bercero per l’Ue e Dan Mullaney per gli Usa.
Prosegue inoltre la pubblicazione delle posizioni di partenza della Commissione sui dossier chiave, come quello sui servizi finanziari, accessibili su internet. I mandati negoziati sono stati approvati dai 28, ma le trattative vengono condotte dall’Esecutivo comunitario. I capi dei team che trattano sono Ignacio Garcia Bercero per l’Ue e Dan Mullaney per gli Usa.
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