Una rete meno
americana, e più globale, ma non per questo necessariamente più libera. E
neppure più sicura. Anzi, per sfoggiare pessimismo, potremmo ritrovarcela ‘con
la museruola’ e presidiata come prima da spioni sotto tutte le bandiere. Ma non
è proprio detto che finisca così…
Cominciamo
dall’inizio. La svolta segnata dall’annuncio fatto dal presidente Obama che gli
Usa sono pronti ad abbandonare il ruolo centrale finora tenuto nell’assegnazione
dei nomi e dei domini su internet, a favore di una governance globale, è un passo
indietro di Washington, che non era mai parsa incline ad accogliere una
richiesta in tal senso da tempo avanzata dall’Unione europea; ed è, in linea di
principio, un passo avanti per la rete.
La decisione di
Obama è pure una reazione alle preoccupazioni suscitate nelle opinioni
pubbliche dallo scandalo del Datagate e dalla capacità statunitense di
controllare la rete e utilizzarla a fini di sorveglianza e spionaggio. Le
dimensioni e la portata delle intercettazioni della Nsa rivelate dalla talpa
Edward Snowden lasciano, insomma, il segno. Ma la rinuncia alla governance non
comporta, di per sè, una riduzione delle capacità dell’intelligence.
Il 15 marzo, il
Dipartimento al Commercio degli Stati Uniti ha diffuso una dichiarazione in cui
annuncia che, dal 2015, non intende più avere un ruolo centrale nella gestione
dell’Icann, l’agenzia no profit che dal 1998 è il regolatore globale di
Internet, responsabile fra l’altro della convalida dei nomi e dei domini.
L’argine dei domini s’era già incrinato con l’introduzione di .biz e .info; e
dopo ne sono arrivati decine di nuovi. Ora, la giostra dell’accaparramento e
delle compravendite ripartirà in direzioni anche politiche, culturali,
religiose.
Entro settembre,
Washington darà il via a un processo condiviso per creare una struttura di C&C
nuova, insieme ad altre realtà globali. La decisione, che apre una fase di
transizione, è commentata con favore dall’Icann: “Tutte le parti interessate – dice
il presidente Fadi Chehade - meritano d’avere una voce in capitolo paritaria nella
gestione e nella governance di questa gestione globale”.
La prima tappa
di questa transizione è imminente: la riunione dell’Icann a Singapore dal 23
marzo.
Il consenso non
è, però, unanime: hanno riserve componenti importanti dell’universo americano
2.0 e anche esperti della rete, preoccupati perché –scrive sull’ANSA Marcello
Campo- “dare più spazio nella regolamentazione del web a Paesi come Russia e
Cina potrebbe portare a una minore libertà e ad una maggiore censura a deterimento
della libertà d’espressione ... E c’è già chi parla del rischio di una
balcanizzazione della rete”.
A fronte di
questo timore, c’è l’impegno, magari un po’ contraddittorio, del presidente
Obama e della sua Amministrazione a garantire che l’Icann sia un ente libero
dalle pastoie dei governi e capace di mantenere la rete aperta, accessibile e, nel
contempo, sicura e utilizzabile senza remore.
Un’altra
perplessità viene espressa da Andrea Monti, esperto di diritto della rete e
presidente dell’Alcei, l’Associazione italiana per la libertà delle
comunicazioni elettroniche interattive. Intervistato per l’ANSA da Titti
Santamato, Monti giudica la notizia nel complesso “positiva”, ma ammonisce: “Il
web non diventa più libero, perché la vita degli utenti continua a essere
controllata dalle ‘antenne’, cioè dalla rete fisica di trasporto dati”.
Le grandi firme della Silicon Valley paiono favorevoli alla svolta, inevitabile –a loro giudizio- dopo il Datagate: c’è in gioco la credibilità della rete agli occhi del pubblico, un valore non negoziabile e che, se compromesso, potrebbe frenarne lo sviluppo globale. A scapito della libertà d’espressione (e degli affari).
E in Italia? Ancora Monti: “I domini .it sono ancora saldamente in mani governative. L’industria che fa innovazione in Italia è dunque condizionata dalla burocrazia di un ente pubblico, cioè l’Istituto di informatica e telematica del Cnr, che gestisce i domini .it in modo autocratico”. Cambierà qualcosa? Di qui al 2015, forse lo vedremo.
Le grandi firme della Silicon Valley paiono favorevoli alla svolta, inevitabile –a loro giudizio- dopo il Datagate: c’è in gioco la credibilità della rete agli occhi del pubblico, un valore non negoziabile e che, se compromesso, potrebbe frenarne lo sviluppo globale. A scapito della libertà d’espressione (e degli affari).
E in Italia? Ancora Monti: “I domini .it sono ancora saldamente in mani governative. L’industria che fa innovazione in Italia è dunque condizionata dalla burocrazia di un ente pubblico, cioè l’Istituto di informatica e telematica del Cnr, che gestisce i domini .it in modo autocratico”. Cambierà qualcosa? Di qui al 2015, forse lo vedremo.
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