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domenica 9 marzo 2014

Ue: presidenza Commissione, i grandi partiti vanno sull'usato sicuro

Scritto per EurActiv lo 09/03/2014 

I partiti europei calano un pokerissimo di uomini -che siano assi, re o fanti si vedrà; e si tengono la donna nella manica. Tsipras e verdi a parte, manca però un nome che sia garanzia di svolta economica e di rilancio politico.

A 11 settimane dalle elezioni europee, le maggiori famiglie politiche europee hanno scelto il loro candidato alla presidenza della Commissione europea: popolari, socialisti, liberali e sinistra puntano secco su un campione; i verdi mantengono un’alternativa uomo/donna. I conservatori non avranno un candidato; e neppure gli euro-scettici. Nessun italiano in lizza, forse anche perché la presenza di Mario Draghi alla presidenza della Banca centrale europea rendeva a priori improponibile una candidatura italiana.

La possibilità di manifestare una preferenza sul prossimo presidente dell’Esecutivo comunitario è la grande novità delle elezioni europee del prossimo maggio, anche se l’opzione espressa dai cittadini europei non sarà vincolante per i capi di Stato e di governo dei 28, che si riuniranno a Bruxelles già il 27 maggio per trarre le conseguenze dall’esito del voto. La designazione del presidente della Commissione spetta al Consiglio europeo, la cui scelta deve poi essere confermata dall’investitura del Parlamento europeo.
A parte il greco Alexis Tsipras, leader di Syriza, che potrebbe diventare alle europee la prima forza politica greca, e i volti verdi –un maturo agricoltore francese anti-globalizzazione, José Bové, e una fresca ecologista tedesca, Ska Keller, la più giovane del lotto con i suoi 33 anni-, le famiglie politiche europee tradizionali sono andate sull’usato sicuro: l’ex premier lussemburghese Jean-Claude Juncker, popolare; l’attuale presidente del Parlamento europeo, il tedesco Martin Schulz, socialista; e l’ex premier belga Guy Verhiofstadt, liberale. Tutti vengono da Paesi fondatori della Cee e protagonisti fin dall’inizio dell’integrazione europea.
Junker, Schulz e Verhostadt sono tutti intorno ai sessant’anni (rispettivamente, 60, 59 e 61 anni –e il più anziano pare il più giovane-), ma sono tutti da talmente tanto tempo sulla scena politica europea da essere considerati dei veterani e, per quanto riguarda Juncker, addirittura un sopravvissuto –è un doppio ex: ex premier lussemburghese, con una anzianità di servizio da fare concorrenza a Helmut Kohl, ed ex presidente dell’Eurogruppo-.
Dei tre, Verhofstadt è l’unico federalista, Schulz sarebbe forse garante di una nuova alleanza tra Commissione e Parlamento, Juncker appare un uomo del Consiglio, avendone fatto parte ininterrottamente per un quarto di secolo. Dal punto di vista della nazionalità, la Germania non ha più avuto un presidente dell’Esecutivo comunitario dal primo, che fu Walter Hallstein –è passato oltre mezzo secolo-; il Belgio non l’ha più avuto da Jean Rey, il successore di Hallstein; invece, il Lussemburgo ne ha già avuti due, Gaston Thorn, liberale, e Jacques Santer, popolare. Entrambi, un disastro: Thorn non fu confermato, dopo un quadriennio paralizzato dal ‘problema britannico’; Santer dovette addirittura lasciare in anticipo, tarvolto dagli scandali del suo Esecutivo.
Dal punto di vista politico, può suscitare qualche curiosità il ‘conflitto d’interessi’ della cancelliera tedesca Angela Merkel: come popolare, sostiene Juncker, che è abbastanza tedesco del suo; come tedesca, non dovrebbe essere troppo ostile a Schulz, tanto più che i socialdemocratici sono suoi alleati nell’attuale coalizione. Certo, il garbuglio sarebbe stato maggiore se il Ppe avesse puntato sul francese Michel Barnier: il presidente François Hollande e la cancelliera Merkel si sarebbero trovati a sostenere candidati incrociati.

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