Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 02/03/2014
Guai a chi tocca la cortina! Arretrato rispetto ai tempi non
lontani della Guerra Fredda, il cordone di protezione intorno alla Madre Russia
non è più di ferro, ma resta un confine d’influenza per Mosca invalicabile: Bielorussia,
Ucraina, Moldavia, Georgia.
E che la
Russia faccia sul serio, quando qualcuno non rispetta le
convenzioni della geo-politica, lo dimostra la guerra di Georgia del 2008:
Tbilisi resta indipendente, ma i territori russofoni dentro i suoi confini le
sono stati sottratti con le armi e non le sono stati restituiti.
Ora, la decisione di Putin di chiedere alla Duma
l’autorizzazione all’invio di truppe in Crimea sorprende solo chi s’è già
dimenticato che, nel 2002, l’allora presidente Usa George W, Bush si fece
autorizzare dal Congresso americano, con quasi sei mesi d’anticipo sull’attacco
poi condotto, l’uso della forza contro l’Iraq; e che, soltanto sei mesi or
sono, il presidente Usa Barack Obama voleva sollecitare al Congresso –in questo
caso, riluttante- l’autorizzazione all’uso della forza in Siria (e lì fu la Russia a fornirgli una via
d’uscita).
Il fatto che Washington e Mosca abbiano, nel loro dna di
Super-Potenze, l’una un po’ tentennante, l’altra di nuovo assertiva dopo anni
d’eclissi, l’uso della forza non lo giustifica di certo. Ma l’accento non va
ora posto sulla sorpresa, che non può esserci, né sull’indignazione, che è
ipocrita, ma piuttosto sugli strumenti per evitare un conflitto in Europa: di
morire per Kiev, non ha voglia nessuno; ma morire a Kiev si può e s’è appena
visto.
Il mantra dell’integrità territoriale dell’Ucraina, cui per
ora s’attengono Ue e Usa, Nato e Onu, non è assoluto. Il totem della scelta
europea dell’Ucraina è un falso idolo. Già due volte nel breve corso
dell’Ucraina indipendente, la piazza ha spinto il Paese verso l’Europa (e una
volta le urne avallarono la tendenza); e per due volte, le urne l’hanno risospinta verso la Russia.
Chela
Crimea decida con chi vuole stare, Kiev o Mosca o per conto
suo. Senza tornare alle tragedie della ex Jugoslavia, dove il diritto all’autodeterminazione
valeva per tutti, meno che per i serbi fuori dai confini della Serbia.
Che
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