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venerdì 28 marzo 2014

Obama a Roma: più Vaticano che Italia (e un po' di turismo)

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 28/03/2014

La giornata a Roma di Mr Obama è (quasi) quella di un turista americano. Emozionato in Vaticano, al cospetto di papa Francesco, che lo commuove “fortemente”. Stupefatto al Colosseo, che –osserva con candore- “è più grande di uno stadio di baseball”. Sorridente al Quirinale, accanto al presidente Napolitano, “un uomo di Stato forte”, un “buon amico”. E un po’ sulle sue nella conferenza stampa con il premier Renzi, che scruta con intensità impenetrabile, distendendo il viso quando s’accorge d’essere ripreso.

E’ una Roma irreale, quella che resta negli occhi del presidente: senza traffico, senza turisti, il suo corteo la traversa senza mai doversi fermare. Le poche contestazioni gli restano nascoste: slogan contro prima dell’arrivo in Vaticano; un sitin vicino aVilla Taverna; un altro dei Cobas vicino all’ambasciata.

Per la stampa estera, questo è il giorno di Obama in Vaticano. Sulle agenzie mondiali, Renzi ottiene un titolo solo quando prende a prestito all’ospite lo ‘Yes we can’ della campagna 2008. I media Usa scrivono che il presidente punta sull’ ‘effetto aureola’, perché questo papa ha un tasso su popolarità superiore al 75% negli Stati Uniti. Ma il Tea Party fa dell’ironia: “Il presidente va a chiedere perdono dei peccati del Datagate”.

A Francesco, Obama porta in dono una scatola di cuoio con semi (frutta e verdura) provenienti dall’orto della Casa Bianca, che cura la moglie Michelle –lei non c’è-. “Una parte dei semi – spiega - sono per lei, Santità. Un'altra sarà donata in carità in suo onore”. Poi, invita il papa a Washington: "Se verrà alla Casa Bianca, potrà visitare il giardino". Francesco risponde in spagnolo: 'Perché no?'. “La gente in America impazzirebbe”.

Il colloquio privato dura 50 minuti: libertà religiosa; temi etici –anche aborto e diritto all’obiezione di coscienza-; immigrazione; lotta contro la povertà, l’emarginazione, i traffici d’esseri umani; pace e MO. E convenevoli, sorrisi, una citazione dell’Evangelii Gaudium, battute un po’ ingessate (“Lei è l’unico che subisce più protocollo di me”), una stretta di mano di commiato “lunga”. Ai dignitari vaticani, il presidente appare più disteso che nel 2009, quando incontrò Benedetto XVI: congedandosi, con il segretario di Stato Kerry, cattolico, Obama chiede a Francesco di pregare per la moglie e le figlie, che –dice- "devono sopportarmi".

Con Napolitano, l’incontro è al Quirinale nello Studio alla Vetrata: “E’ così bello rivederla”, è l’esordio in inglese  –questa è la quinta volta-. Dopo la colazione sul Colle, subito a Villa Madama per il colloquio con Renzi. In conferenza stampa, il premier ne giudica la visita un incoraggiamento per l’Italia. Lui ha per tutti parole gentili, anche di speranza per la crisi dell’Ucraina con la Russia, sposa la causa della crescita e del lavoro dei giovani, elogia la Bce, non smentisce Renzi quando dice di sperare nell’intesa Ue-Usa sull’area di libero scambio sotto presidenza italiana –tutti e due sanno che non è realistico-.

Al Colosseo, c’è ad aspettarlo il ministro dei beni culturali Dario Franceschini. ''Minister of culture? Great Job'!'', esclama Obama, che non ne ha uno nel suo gabinetto. ''In Italy is the best job'', replica estasiato Franceschini. Poi, la visita e la sosta al bookshop. Quindi, il ritorno a Villa Taverna, dove Obama il turista torna a fare il presidente degli Stati Uniti, occupandosi della riforma dell’intelligence e preparando la tappa di domani a Riad. Alla scaletta dell’aereo, ci sarà il sindaco Marino, di cui ci si era dimenticati.

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