Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano il 22/03/2014
Matteo
Renzi ha finito il noviziato europeo. E’ stato lampo, come piace a lui, e non è
neppure stato tutto rose e fiori: un Vertice di crisi sull'Ucraina, le visite
di presentazione da Hollande e la
Merkel ; un Consiglio europeo con tutti i crismi; gli incontri
istituzionali con Van Rompuy e Barroso. Così, il
premier ha esaurito il bonus europeo di sorrisi e incoraggiamenti per l’ultimo
arrivato. E ha già avvertito i primi cigolii nel rapporto con la Commissione europea.
Adesso,
lo aspettano ancora tappe di noviziato internazionale: il Vertice nucleare
all’Aja, con un G7 anti-Russia sulla crisi ucraina, e la visita a Roma del
presidente Usa Barack Obama, programmata – in origine - soprattutto per Papa
Francesco.
Dopo
di che, il premier italiano non sarà più la mascotte del club dei leader,
quello cui si concede un margine di tolleranza, perché deve ancora prendere le
misure, e non sarà più trattato con i guanti. Che poi, a ben guardare, Barroso,
giovedì, a Bruxelles, non è certo stato accomodante. E la Merkel –dice il presidente
di Confindustria Squinzi- non lo ha accolto “a baci e abbracci”, nonostante
quel suo essere rimasta “impressionata” (aggettivo, s’è poi scoperto,
inflazionato dalla cancelliera, che fu “molto impressionata”, il giorno dopo,
dal premier portoghese Pedro Passos Coelho e che lo era stata, in passato, da
Monti e Letta-.
Il
bilancio del noviziato è presto fatto: Renzi non ha concesso nulla ai suoi
partner, a parte l’impegno reiterato a rispettare i vincoli europei (chiedendo
in cambio soluzioni ai problemi); ma non ha neppure ottenuto nulla, perché il
limite del 3% resta, come pure tutti gli altri, e il sostegno alle riforme
sbandierato è generico e preventivo. Sull'ipotesi di usare i Fondi di coesione
‘fuori sacco’, Barroso cala la saracinesca.
Il
premier deve avere percepito una certa freddezza degli interlocutori europei
per le formule vuote, ma ad effetto, tipo "l'Italia
oggi paga i debiti del passato, ma deve iniziare a investire nel futuro",
o . l’Ue “non può essere solo vincoli astratti”, o ancora “non siamo
subalterni”. E se Renzi rivendica che l’Italia “non è uno studente fuori
corso della classe Ue”, Squinzi gli rifiuta un voto perché “è ancora a casa che
studia”.
Matteo
smentisce conflitti con gli interlocutori europei e
bolla come “fantasie” i sorrisini scambiati tra van Rompuy e Barroso, che "riaprono
una ferita aperta per il nostro Paese" – quella dei sorrisini tra Sarkozy
e Merkel, a proposito di Berlusconi -. Che adesso gli consiglia di “andare a
Bruxelles deciso e, se serve, porre il veto” –ma su che cosa, di grazia?-.
The Economist lo definisce un “giocatore d’azzardo” e, ricordando
le visite a Parigi e Berlino, scrive: “A ogni tappa
del suo tour, il premier italiano ha avuto lo stesso obiettivo: ottenere margini di manovra fiscale per il
suo piano a sostegno della fragile ripresa economica italiana”.
Finito il
noviziato, comincia il percorso vero: quel che resta del cosiddetto Semestre
europeo, di qui a fine giugno, con tutte le verifiche sui conti nazionali; il
25 maggio, le elezioni europee; e poi dal 1o luglio, il semestre di presidenza
di turno del Consiglio dell’Ue, con il rinnovo di tutti i vertici delle
istituzioni comunitarie.
Tutto ciò partendo dai numeri deboli dell’economia italiana, con una previsione di crescita 2014 che si riduce di stima in stima –siamo allo 0,5%-, nonostante fatturato e ordinativi dell’industria incoraggianti, e dai numeri vaghi e un po’ erratici delle sue promesse. A Bruxelles e a Francoforte, invece, i numeri piacciono netti e precisi: faccio questo, costa tanto, lo pago così.
Tutto ciò partendo dai numeri deboli dell’economia italiana, con una previsione di crescita 2014 che si riduce di stima in stima –siamo allo 0,5%-, nonostante fatturato e ordinativi dell’industria incoraggianti, e dai numeri vaghi e un po’ erratici delle sue promesse. A Bruxelles e a Francoforte, invece, i numeri piacciono netti e precisi: faccio questo, costa tanto, lo pago così.
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