Scritto per AffarInternazionali.it ed EurActiv.it il 31/08/2014
Una vittoria per Renzi. Un’incognita per l’Italia. Una “scelta
sbagliata”, almeno nelle motivazioni, per l’Europa. E una sfida per Federica
Mogherini, che deve dimostrare a chi l’ha scelta, o accettata, anche giudicandola
non ingombrante per la sua scarsa esperienza e poca notorietà d’avere le
qualità e la personalità per dare spessore alla politica estera europea, che
cinque anni di Lady Ashton hanno reso eterea e impalpabile.
Anche Lady Ashton fu scelta per gli stessi motivi: di sicuro,
si pensava, non avrebbe dato ombra alle grandi diplomazie nazionali. E lei s’è
ben guardata dal farlo, dal rendersi protagonista, forse con l’eccezione del
negoziato con l’Iran. Eppure le cronache del suo mandato quinquennale,
Primavere arabe e grandi crisi nel Medio oriente, Califfato e Ucraina, le hanno
offerto molte occasioni per mostrarsi concreta e tempestiva.
Federica Mogherini è più preparata di quanto non fosse nel
2009 Lady Ashton. E parte consapevole delle “sfide immani” –parole sue- che ha
davanti. Annunciandone la nomina, il presidente uscente del Consiglio europeo
Herman Van Rompuy l’ha indicata come "il nuovo volto dell'Unione
europea nei rapporti con i partner internazionali" e ha previsto che sarà "un'abile
e ferma mediatrice" e che "difenderà strenuamente il ruolo
dell'Europa nel mondo".
Lei
ha risposto a tono, con padronanza della storia dell’integrazione, alternando
inglese e francese, confutando l’accusa –risibile- di essere troppo giovane per
quel posto. Ha citato Robert Schuman, circa la necessità di unire l’Europa per
mantenere la pace; ha detto di credere che l'Unione europea sia “un sogno
diventato realtà" e s’è posta la priorità di fare in modo che tutti gli europei "continuino a
considerarla tale, senza che il sogno diventi un incubo".
Per
essere all’altezza dei propositi, e perché l'integrazione europea “nata come un
progetto di pace” lo resti “in questi tempi di crisi e conflitti", la
Mogherini dovrà agire da ‘ministro degli esteri’ dell’Ue e, quindi, tradire
spesso le attese minimaliste dei suoi Grandi Elettori e persino disattendere i
calcoli opportunistici di chi l’ha spinta a quel posto.
Perché,
al di là degli ossequi istituzionali –unanimi, dal presidente Napolitano al
presidente Obama- e delle riverenze –e reverenze- mediatiche, persino stucchevoli,
non c’è assolutamente dubbio che la nomina della Mogherini sia una
vittoria per Matteo Renzi: i leader dell’Unione hanno dato retta all’ultimo
premier italiano di questo tris da ‘uno all’anno’.
Certo, lui aveva
messo giù non un asso né un sette bello, che magari avrebbero creato imbarazzo
e perplessità: un sei da primiera, al più, che non preoccupava nessuno –tranne
la Lituania, astenuta-. Facile immaginare, ora, dopo The Economist, che la
Merkel e Hollande, e pure Cameron, gli abbiano comprato un gelatino per tenerlo
buono; e, intanto, il fronte della flessibilità s’assottigliava e s’indeboliva,
con la defezione spagnola e le vicissitudini francesi. Ma sapendo quanto il
premier sia sensibile all’argomento gelato, è meglio non pensarlo neppure.
Per l’Italia, la
nomina della Mogherini costituisce un’incognita. Renzi sottolinea in positivo
il peso “della responsabilità” riconosciutaci. Ma di fatto, al di là degli
ovvii propositi di onnipresenza dell’Alto Rappresentante, che è pure
vice-presidente della Commissione europea, l’Italia avrà un’antenna meno
presente nell’Esecutivo comunitario, dove transitano ogni settimana molti
dossier di suo interesse.
In quest’ottica,
persone d’esperienza europea e di appartenenze politiche diverse erano –e sono-
concordi: gli interessi spiccioli italiani sarebbero stati meglio serviti da un
commissario ‘culo di pietra’ capace di farsi sentire in tutti i passaggi
delicati. Certo, la Mogherini potrà mettere insieme uno staff di collaboratori
d’eccellenza, che ne surrogheranno le assenze implicite nel suo ruolo; ma il
peso di un funzionario, o di un diplomatico, nell’Esecutivo non è mai quello di
un commissario.
Infine, l’Europa. Perché una
“scelta sbagliata”? E’ la valutazione dei media
europei più autorevoli che, la vigilia del Vertice, già ne criticavano le
decisioni –Financial Times, Le Monde, Die Welt-, mentre avvertivano che la
barca dell’euro può ancora affondare –Economist-. Per
l’FT, la nomina della Mogherini “è una delusione”, perché l’Ue poteva puntare
su personalità di maggior spicco. E Le Monde prospettava “un triste giorno per
l’Europa”, denunciando proprio le carenze d’esperienza e di prestigio del
ministro italiano, cui pure riconosceva punti
positivi: “E’ una donna (e ce ne sono poche al vertice
dell’Ue), è socialdemocratica (e ciò è buono per gli equilibri politici),
consente all’Italia di piazzare una pedina ed alla signora Merkel di fare una
concessione a Renzi... E’ perfettamente anglofona e francofona. Tutte le
caselle sono riempite”.
Certo,
può stupire che gli strali contro l’Unione al minimo comune denominatore in
politica estera vengano proprio dai media dei Paesi più gelosi delle loro
prerogative sulla scena internazionale (e quindi meno inclini a farsi
rappresentare da personalità di spicco in sede europea). Ma si può avere una
faccia tosta e dire cose giuste.
Confermate, del resto, dalla
scelta, sponsorizzata dalla Gran Bretagna, del polacco Donald Tusk, che parla
russo e tedesco, e non –ancora- inglese e francese, alla presidenza del
Consiglio europeo. La nomina di Tusk viene incontro ai Paesi dell’Europa
centrale e orientale, che non si sentivano rappresentanti ai vertici delle
Istituzioni e che sono inquieti per la crisi ucraina, e soddisfa i Paesi più
riluttanti all’integrazione: Tusk non è un europeista presiederà pure i Summit
dell’Eurogruppo, nonostante la Polonia sia fuori dall’euro.
Con il duo Juncker / Tusk, l’Unione
viaggerà, anche per i prossimi cinque anni, con il freno a mano della prudenza
tirato. Sarà la Mogherini la suffragetta dell’integrazione?