Scritto per Il Fatto Quotidiano del 21/04/2015
Un giorno d’inverno del 2009, il capitano Richard Phillips
lascia la sua famiglia nel Vermont per condurre la Maersk Alabama, nave porta
container Usa, carica di 17mila tonnellate di aiuti umanitari del Programma
alimentare mondiale, da Salalah (Oman) a Mombasa (Kenya), solcando l’Oceano
Indiano. In alto mare, però, la nave viene abbordata da pirati somali: Phillips
viene sequestrato, ma la U.S. Navy arriva in suo soccorso, lo libera e
neutralizza gli assalitori.
E’ un fatto vero. Ma molto
avranno riconosciuto la trama di ‘Captain Phillips – Attacco in mare aperto’,
film con Tom Hanks. Quel fatto contribuì alla mobilitazione internazionale
anti-pirateria al largo della Somalia: prede dei pirati furono anche navi
italiane, come la Savina Caylin, una petroliera, e la Enrico Ievoli, mentre la
nave da crociera Melody e la cisterna Valdarno riuscirono a sottrarsi agli
attacchi.
Il dispendioso spiegamento
di unità militari Usa, Nato, Ue al largo del Corno d’Africa ha effettivamente
sortito effetti positivi: i danni causati dai pirati somali ai trasporti
marittimi si sono ridimensionati, nel giro d’alcuni anni. E, ora, l’Italia
ipotizza qualcosa di simile nel Mediterraneo, al largo della Libia, che,
proprio come la Somalia, è uno ‘Stato fallito’, senza un potere centrale forte
e con il territorio controllato da tribù e fazioni. Bersaglio,
questa volta, non i pirati, ma i trafficanti di persone, i nuovi ‘schiavisti’.
‘Ocean Shield’ è il contributo della Nato allo sforzo
internazionale per reprimere il fenomeno della pirateria tra Golfo di Aden e
Mare arabico, con due gruppi navali che dal 2008 s’alternano nell'Oceano Indiano spingendosi fino alle Seychelles.
La Marina militare italiana assicura la partecipazione
di una propria unità a uno dei due. La fregata Libeccio, nel 2009, sventò tre
sequestri di navi mercantili e soccorse pure un peschereccio somalo in
difficoltà, traendone in salvo tutto l’equipaggio.
Partita come ‘Allied Provider’, l’operazione è poi
divenuta ‘Allied Protector’ fino all’attuale ‘Ocean Shield’. Parallela alla
missione della Nato, c’è quella dell’Ue ‘Eunavfor Atalanta’, che è stata più
volte prorogata, visti i successi conseguiti, con la riduzione degli attacchi.
Nato e Ue basano le loro operazioni su una serie di
risoluzioni dell’Onu del 2008, che, nel caso della Libia, non ci sono ancora. Fra
i compiti, c’è quello di assicurare il regolare flusso in Somalia degli aiuti
umanitari del programma alimentare delle Nazioni Unite, attraverso la scorta dei mercantili coinvolti. Ma la
presenza delle unità di ‘Ocean Shield’ e ‘Atalanta’ ha sventato diversi
sequestri e ora fa da deterrente ai pirati.
Contro la pirateria c’è da tempo una giurisdizione
universale. Per il traffico delle persone il quadro giuridico è meno chiaro. Il
diritto internazionale marittimo prevede che lo Stato che blocchi una nave pirata
possa arrestarne l’equipaggio e processarlo presso i propri tribunali. Però, molti
pirati fermati lungo le coste somale sono stati poi ricondotti a terra a causa della
riluttanza degli Stati a tenerli in custodia e processarli. Usa, Ue e Gran
Bretagna hanno fatto un accordo con il Kenya perché i pirati vengano lì processati e detenuti: lo
stato delle galere kenyote costituisce
un ulteriore deterrente.
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