Scritto per Formiche il 15/04/2015
Ci sono
tutti i presupposti perché Barack Obama e Matteo Renzi confermino la
tradizionale e solida buona intesa tra Usa e Italia, nel loro incontro nello
Studio Ovale venerdì 17 aprile –tranquilli!, negli Stati Uniti il numero che
porta male è il 13-. Ma Matteo con Barack deve superare l’handicap dei
precedenti.
Obama
mostrava un’intolleranza quasi fisica rispetto a Silvio Berlusconi, di cui non
sopportava l’esuberanza: le immagini del G8 dell’Aquila nel luglio 2009 o del
G20 di Pittsburgh nel settembre dello stesso anno lo dicono molto meglio
dell’ovvia reticenza in merito delle dichiarazioni ufficiali e sono parte della
spiegazione della rarefazione dei contatti dopo di allora. Il presidente
americano scelse come interlocutore italiano, a parte le occasioni
multilaterali, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che invitò
pure a prendere un te alla Casa Bianca, nel tentativo di capire che cosa stesse
succedendo in Italia, e pure in Europa.
Ai
successori di Berlusconi, invece, Obama aprì un credito di fiducia: Mario Monti
ed Enrico Letta non erano indiziati di esuberanza fisica e avevano l’uno
l’autorevolezza accademica e l’altro l’accuratezza tecnocratica per portare
alla Casa Bianca un’immagine dell’Italia diversa, più positiva –all’epoca, si sarebbe
detto ‘sobria’- e più credibile. Ma il credito di fiducia americano verso di
loro non trovò riscontro in Italia: i due premier finirono travolti da manovre
politiche e si rivelarono interlocutori effimeri.
Renzi, che
con Monti e Letta ha in comune il fatto di non essere stato ‘legittimato’ come
premier dal voto popolare, deve quindi convincere gli americani di esserci per
durare –e questo gli può essere relativamente facile, nell'attuale panorama
politico italiano- e per fare quel che dice di volere fare –e questo gli è meno
facile-. Inoltre, Matteo deve tenere a freno l’esuberanza, ché Obama non è uomo
da pacca sulle spalle come Clinton né da battute come Bush (che non sempre le
capiva, ma ne rideva).
Sul piano
della sostanza, almeno dal 2012 tra Usa e Italia c’è sintonia sulla necessità
di mettere l’accento sulla crescita più che sul rigore in economia e sulla
creazione di posti di lavoro. Solo che loro riescono a farlo e noi in Europa
molto meno di loro e in Italia, almeno fino a ieri, al 31 marzo, per nulla.
Sulla scena internazionale, l’Afghanistan e la lotta al terrorismo, l’accordo sul nucleare con l’Iran e la crisi in Ucraina vedono l’Italia in sintonia sostanziale, o comunque dichiarata, con gli Stati Uniti. Renzi proverà a tirare per la giacca Obama sulla Libia, ma è da escludersi che ne ottenga impegni, al di là della condivisione della gravità della situazione e della necessità di addivenire a un’intesa tra le parti. Il presidente americano non vuole finire nell'ennesimo pantano.
Sulla scena internazionale, l’Afghanistan e la lotta al terrorismo, l’accordo sul nucleare con l’Iran e la crisi in Ucraina vedono l’Italia in sintonia sostanziale, o comunque dichiarata, con gli Stati Uniti. Renzi proverà a tirare per la giacca Obama sulla Libia, ma è da escludersi che ne ottenga impegni, al di là della condivisione della gravità della situazione e della necessità di addivenire a un’intesa tra le parti. Il presidente americano non vuole finire nell'ennesimo pantano.
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