Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 04/04/2015
Né per la fare la pace con
l’Iran, né per fare –meglio- la guerra insieme al Califfato. Ma, una volta di
più, per gli affari. Così la racconta The Guardian, secondo cui “l’intesa
preliminare” di Losanna sul programma nucleare iraniano “sarà il segnale dello
starter per una calca di aziende occidentali che si precipiteranno su un mercato
potenzialmente vasto e da anni inesplorato”, causa sanzioni.
La levata delle quali
dovrebbe dare un colpo di frustra all’economia iraniana e rilanciare consumi
finora soffocati. Magari non proprio quelli degli strati più poveri della
società iraniana, a giudicare almeno dalla gente scesa in piazza giovedì notte
a Teheran per festeggiare l’accordo sbozzato.
La pressione esercitata
dalle grandi multinazionali per riaprire il mercato iraniano e dare uno sfogo al
business mondiale avrebbe dunque pesato di più della preoccupazioni per la
sicurezza di Israele, il cui premier Netanyahu
non nasconde delusione e preoccupazione. Trovando eco negli Stati Uniti, dove
il tema fa già campagna elettorale per Usa 2016. Jeb Bush, figlio e fratello di
presidente, aspirante alla nomination repubblicana, un moderato fra Tea Party e
fondamentalisti cristiani, giudica l’intesa “imperfetto”. E neppure la
candidata democratica Hillary Clinton lo difende l’accordo a spada tratta, per
non giocarsi il voto ebraico: “Bene, ma c’è ancora molto da fare”.
Nel racconto di The
Guardian, Teheran, in questi giorni, è già invasa da lobbisti e uomini
d’affari, arrivati in anticipo scommettendo sul successo dei negoziati di
Losanna. Se le aziende petrolifere ed energetiche sono in prima fila (BP, ma
pure Shell, Total, Lukoil), molti altri settori puntano sull’enorme potenziale
di un Paese colpito da anni dalle sanzioni e costretto a vivere e ad arrangiarsi
al di sotto dei propri mezzi.
Un esempio è la
necessità di ammodernare le flotte dell’aviazione civile, fra le più vecchie:
Airbus e Boeing sono già in aperta competizione. Un altro esempio è il mercato
dell’auto, il 10° al Mondo un tempo: la Peugeot, che ne aveva una grossa fetta,
vuole riprendersela, ma Renault e GM gliela contendono. E i produttori
d’acciaio e d’alluminio sono attratti dal combinato disposto di energia a basso
costo e porti attrezzati.
La lettura
‘affaristica’ di The Guardian non è unanimemente condivisa. Il New York Times dà
dell’intesa un giudizio globalmente positivo: un passo “promettente”, che
allenta tensioni vecchie d’oltre trent'anni. Il giornale guarda, in
particolare, al mercato dell’energia: l’accordo di Losanna può potenzialmente
cambiarlo nel lungo termine, ma non avrà un grosso impatto nel breve termine perché
la domanda di petrolio è già satura e i prezzi sono estremamente bassi.
Gli esperti citati dal
NYT stimano che ci vorranno almeno sei mesi, forse un anno, per percepire l’effetto
dell’intesa sull’energia: ''L'accordo con l’Iran apre la strada a un significativo
aumento delle esportazioni iraniane di petrolio nel medio periodo'', afferma
Michael Levi, esperto d’energia al Council on Foreign Relations; ma per ora nessun
barile uscirà dall'Iran.
Nell'immediato, dunque, la Repubblica degli Ayatollah non avvertirà tutti i
vantaggi economici dell’intesa di Losanna. Invece, il bailamme politico internazionale s’è subito scatenato, nella
scia del giudizio drastico di Israele: quell'accordo è “un errore storico” che
avvicina l’Iran all’atomica e mina la sopravvivenza stessa dello Stato ebraico.
A Washington, Obama assicura che Teheran non avrà la bomba e ribadisce
l’impegno degli Usa per la sicurezza di Israele. A Gerusalemme, Netanyahu convoca
il Consiglio di Difesa e chiede che l’Iran riconosca lo Stato ebraico.
La soddisfazione è
palpabile a Mosca, mentre Parigi s’erge a portavoce nel 5+1 delle riserve
d’Israele e nega che il ritiro delle sanzioni contro l’Iran sia scontato,
automatico. L’intesa ha detrattori sia in Iran che negli Usa, nei campi
conservatori dei due Paesi, anche se il presidente Rohani la avalla in funzione
dell’economia (“le centrifughe devono girare e l’economia andare avanti”) e ringrazia
il negoziatore, il ministro degli esteri Zarif, “a nome di Khamenei”, la guida
suprema. E nelle moschee nel venerdì di preghiera, i sermoni ufficiali benedicono
l’accordo.
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