La conferenza sul clima di Parigi, la Cop21, non sarà un fiasco
come quella di Copenaghen del 2009: ne è sicuro l’ambasciatore Massimo Gaiani,
direttore generale alla Farnesina per la mondializzazione e le questioni
globali, uno degli italiani più coinvolti nella preparazione dell’evento che
s’aprirà il 30 novembre, presenti capi di Stato o di governo, ministri e
delegazioni di 194 Paesi.
L’ambasciatore Gaiani
è in grado di valutare le differenze d’approccio tra allora ed oggi, perché
visse pure la preparazione di quell’appuntamento, in altra veste, come
negoziatore da Palazzo Chigi.
In una conversazione con LaPresse, rileva che “alla
vigilia di Copenaghen, le condizioni erano completamente diverse, l’atmosfera
non era quella che si respira ora, non c’era assolutamente determinazione a
chiudere da parte di alcuni dei principali attori. L’Unione europea portò avanti
una posizione di ‘guidare con l’esempio’, che ci costò pure qualcosa, ma che
non funzionò. Oggi, le condizioni sono molto più rassicuranti, anche se gli obiettivi
sono leggermente diversi. Tantissimi Paesi partecipano convinti”.
La differenza
maggiore è che “ormai il cambiamento climatico è veramente entrato nell’agenda
di ogni incontro internazionale, multilaterale e bilaterale”. E “l’Italia ha
fatto della campagna di sollecitare tutti gli altri Paesi ad una politica più
virtuosa una delle sue linee guida”.
D – L’Italia si
riconosce totalmente nella posizione dell’Unione europea, che conduce il
negoziato per i 28?
L’Ue ha indicato con
largo anticipo – l’ha fatto sotto presidenza italiana, lo scorso autunno –
l’impegno di ridurre entro il 2030 del 40% le emissioni rispetto al 1990: è un
impegno molto significativo, perché è evidente che più si arretra il punto di
partenza - in anni in cui le emissioni continuavano a crescere - più l’impegno
è difficile da realizzare. Questo è l’impegno complessivo europeo: resta da
determinare come i 28 se lo suddivideranno.
D – Come l’Ue pensa
di rispettare il proprio impegno?
Si dovrà prendere in
considerazione un mix di politiche perché la riduzione delle emissioni si può
realizzare in tanti modi: migliorando l’efficienza energetica, che è la prima
fonte rinnovabile o verde; aumentando la quota delle rinnovabili; con atteggiamenti
virtuosi dei grandi emettitori che pesano per un 60-70% sulla produzione di gas
serra. E’ evidente che c’è tutto un negoziato da fare; e che bisognerà tenere
conto della nostra costante posizione, spingere l’Ue e tutti gli altri Paesi
partner a fare di più, anche perché l’Italia ha un territorio naturalmente
fragile ed è quindi soggetta più di altri Paesi all’impatto del riscaldamento
globale. Ricordiamoci che c’è un costo della ‘non-azione’ molto più alto del
costo dell’azione.
D – Per l’industria
europea, e italiana, non ci sono rischi?
Va tenuto ovviamente
conto delle conseguenze industriali. Il basso costo del petrolio riduce l’impatto
degli impegni sul nostro sistema industriale: non si vedono oggi casi in cui i
diversi parametri ambientali possano portare fuori competizione interi apparati
industriali. C’è ancora molta flessibilità; e chi è soggetto a limiti ha ancora
modo di acquistare diritti di emissione a prezzi relativamente contenuti.
Bisogna trasformare la
de-carbonizzazione dell’economia da un fattore di debolezza in un’opportunità.
E l’Italia ha fatto abbastanza per questo, forse più in chiave esterna che in
chiave interna: le aziende italiane che si sono collocate su questo mercato e
che stanno operando all’estero, vendendo tecnologie ambientalmente sane, sono
moltissime: stiamo vendendo tecnologia verde all’estero. Io credo che tutto si
giocherà sull’innovazione, sullo sforzo di ricerca: ci sono prospettive per
giungere a una costante, importante riduzione dei costi delle energie
rinnovabili. E’ su questa frontiera che si gioca tutto.
D - L’enciclica
‘Laudato si’ di Papa Francesco ha avuto un impatto sulla preparazione della
Cop21?
In effetti, non era
mai successo prima di avere una simile posizione da parte della Chiesa. D’altra
parte i segni dell’impatto dei cambiamenti climatici in termini sociali, di
trasferimenti di popolazioni che si trovano a fuggire da situazioni non più
sostenibili, sono sotto gli occhi di tutti. E direi che questo è uno dei fattori
che ha spostato molte posizioni. Sono convinto che alla base del forte
cambiamento che c’è stato da parte dei due maggiori emettitori – per le
dimensioni della loro economia –, cioè Cina e Usa, sono dettati anche da
ragioni interne, dalla situazione dell’ambiente in Cina, che ormai è
difficilmente sostenibille, o dalla siccità in California. Entrambi i Paesi
hanno assunto una posizione coraggiosa e tanti altri li hanno seguiti,
come, ad esempio, il Brasile.
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