Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano il 14/11/2015
Ci eravamo già resi conto che quei grappoli di bombe
sganciati su gente lontana, che manco sappiamo chi sia, fanno nascere più
terroristi di quanti ne uccidano. E non è neppure la prima volta che scopriamo
che non li fanno nascere solo laggiù, ma qui da noi, nelle nostre città: dalle
bombe nella metropolitana di Londra 2005 alla strage di Charlie Hebdo, i
terroristi che hanno insanguinato le nostre strade e ci hanno ucciso, qui, a
casa nostra, sono ragazzi della porta accanto, neppure della banlieue accanto.
In attesa di capire bene chi erano e da dove venivano i commando kamikaze della
notte di sangue, venerdì a Parigi.
Non abbiamo neppure imparato che gioire delle altrui
tragedie ci accumula le disgrazie addosso. Venerdì mattina, buona parte dei
commentatori che si sono poi ritrovati la sera a dirsi disarmati di parole e di
strumenti di fronte agli attacchi di Parigi avevano raccontato come
l’eliminazione con un drone di Jihadi John, il boia in nero, fosse un colpo
alla propaganda del Califfo e alla sua capacità di fare proseliti con il mito
dell’impunità del terrore.
Il fatto è che, da quando abbiamo deciso di risponderne con
la forza alla violenza, di ammazzarne dieci dei loro se loro ne ammazzano uno
dei nostri, il livello di sicurezza nostro non è aumentato e una soluzione non
s’è avvicinata. Adesso, François Hollande, scosso e quasi senza parole in tv la
notte delle stragi, ritrova compostezza e vocabolario sullo schermo e promette
che la Francia sarà “impitoyable”, senza pietà. Esattamente come lo sono stati
i terroristi che l’hanno attaccata. Senza pietà e senza speranza, perché votati
alla morte con la loro azione.
E il fatto ancora più grave è che, adesso, non sappiamo bene
che cosa fare. La guerra al terrorismo, certo. Ma le nostre armi, per
intelligenti che siano, sono fatte più per combattere guerre convenzionali che
guerre d’intelligence. E l’intelligence ci manca, o non è: l’attacco di un
‘lupo solitario’ è imparabile; ma un’azione così complessa e coordinata come
quella condotta a Parigi, con commando che agiscono in località diverse e con
modalità diverse, richiede un coordinamento, delle armi, degli esplosivi,
forzatamente delle comunicazioni.
Sembriamo disorientati, come lo fummo l’11 Settembre 2011,
quando scoprimmo che 19 giovanotti venuti in massima parte dall’Arabia Saudita
e dallo Yemen s’erano adeguatamente addestrati negli Stati Uniti, pagando il
giusto a scuole di volo regolarmente esistenti, per provare a colpire al cuore
l’America. E riuscirci. Nessuno si accorse di nulla, Come a Parigi.Sono passati
15 anni, ma della guerra al terrorismo, che doveva essere ‘the Long War’, la
lunga guerra, non s’intravvede la fine. Anzi, ogni volta pare di essere tornati
alla casella di partenza.
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