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domenica 29 novembre 2015

Clima: Cop21, impegni, non vincoli; e il Pianeta si scalda ancora troppo

Scritto per Il Fatto del Lunedì del 16/11/2015, poi saltato per gli attentati di Parigi
Sarà un banco di prova, il più terrificante, della tenuta di Parigi, e della comunità internazionale, contro la minaccia del terrorismo: la capitale francese deve ospitare, dal 30 novembre, per una settimana almeno – ma tempi supplementari non sono esclusi -, la Conferenza sui cambiamenti climatici, la Cop21, 160 e più delegazioni da tutto il Mondo, in apertura almeno un centinaio di capi di Stato e di governo. Se non si fosse fatta, o se fosse stata trasferita altrove, sarebbe stata un segnale che questa battaglia l’hanno per il momento vinta loro, i terroristi integralisti, inducendoci ad anteporre la paura dell’imminente alla paura di una catastrofe planetaria, il riscaldamento globale.

Lo ha subito colto Enrico Brugnoli, direttore del Dipartimento Terra Ambiente del Cnr (Consiglio nazionale delle Ricerche: ''Questo grande evento, che suscita tante speranze per la risoluzione della crisi climatica, dovrebbe svolgersi - dice - nel segno della pace e della convivenza civile di tutti i popoli uniti” nel segno della salvezza del Pianeta, “senza distinzioni politiche, culturali e religiose”. La comunità scientifica auspica, quindi, “una risposta globale per impedire ai terroristi di influenzare negativamente Conferenza''.

Che, se poi si svolge regolarmente, deve però essere un successo, condurre a risultati. Ma, su questo punto, americani ed europei, con maggiore o minore rassegnazione, mettono tutti le mani avanti: John Kerry, segretario di Stato Usa, lo dice senza mezzi termini al Financial Times, “Non aspettatevi un nuovo trattato internazionale, un protocollo come quello di Kyoto che imponga ai firmatari un taglio entro una certa data delle emissioni inquinanti”.

Ci saranno, si prospetta, obiettivi individuali dei singoli Stati di qui al 2030 e quindi appuntamenti di verifica del rispetto degli impegni presi, oltre che – parola di Kerry - "significativi investimenti" per sviluppare un’economia globale più pulita e, soprattutto, tecnologie che offrano alternative energetiche.

Questa è la posizione dell’Amministrazione Obama, nonostante il presidente sia personalmente impegnato, oltre che politicamente, per risolvere il problema. L’Unione europea abbozza: la Commissione di Bruxelles insiste su un nuovo trattato internazionale, proprio come Kyoto, ma molti Stati appaiono già rassegnati e non insoddisfatti del risultato che si profila. La somma degli impegni già raccolti, infatti, assicurerebbe, di qui alla fine del Secolo, un riscaldamento di 2,7 gradi centigradi, un po’ più della soglia ritenuta tollerabile del 2%; ma – ci spiega uno dei negoziatori – “c’è ancora tempo per correggere il tiro, per limare qualcosa”, in attesa che la tecnologia risolva il problema alla radici.

L’Amministrazione statunitense teme che un’intesa con obblighi stringenti possa rivelarsi un boomerang, perché di fatto impossibile da fare ratificare e rispettare ovunque. A partire dagli stessi Stati Uniti: il testo d’un nuovo trattato dovrebbe passare al vaglio di un Congresso in mano ai repubblicani, ostile alle misure per combattere i cambiamenti climatici. E fra i candidati repubblicani alla Casa Bianca più di uno non è pronto a riconoscere la responsabilità dell’uomo nel riscaldamento globale.

Quale ne sia la forma, il nuovo accordo globale sul clima dovrà rimpiazzare proprio il protocollo di Kyoto, i cui obiettivi sono stati largamente disattesi: gli stessi Stati Uniti lo firmarono, ma non lo ratificarono; e la Cina, oggi il Paese che inquina di più la Terra, non vi aveva aderito. L’intesa di Parigi dovrebbe invece essere accettata da tutti, anche se permangono differenze tra gli Stati Uniti, l’Unione europea e altri Paesi: alcune economie emergenti, come la Cina e il Brasile, sembrano ora acquisite alla causa ambientale; ma altre, come l’India, in particolari, restano più riluttanti. Significativa in proposito una recente telefonata di Obama al premier indiamo Narendra Modi.

Usa e Ue esortano a "superare la vecchia mentalità" dei Paesi che ancora resistono al taglio delle emissioni, affermando che dovrebbero essere compensati di più per il loro status di economie emergenti. "Non siamo più nel 1992 o nel 1997", è il leit motiv americano ed europeo, "non siamo più ai tempi di Kyoto". E si discute pure sulla quantità di risorse da stanziare per investire sempre più nelle fonti rinnovabili.

Certo, se gli impegni dei governi e le dichiarazioni politiche di buona volontà stillassero davvero sincerità la Conferenza di Parigi sul clima sarebbe già un successo acquisito. La via maestra d’un Pianeta più pulito e meno caldo l’ha indicata per tempo, nella sua enciclica ‘Laudato si’, Papa Francesco, che è pure andato a presentarla alla tribuna dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, a New York. E i compiti a casa, per evitare di trovarsi a Parigi sul banco degli accusati, li hanno fatti l’Unione europea, gli Stati Uniti e persino la Cina: tutti annunciando piani ambiziosi contro l’effetto serra.

In visita all’Expo di Milano, a metà ottobre, il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, prima, e Kerry, poco dopo, avevano detto con linguaggi analoghi: "Dobbiamo lavorare per un accordo durevole e inclusivo. La sfida è un Mondo pulito. Dobbiamo investire in alternative che possano resistere ai cambiamenti climatici. Sarà importante per un futuro molto più sicuro, più sano". Kerry ha esortato a spiegare all’opinione pubblica quanto sia importante l'accordo di Parigi e che “il successo del negoziato può essere la notizia più bella in tutte le lingue".

L’obiettivo del vertice di Parigi è contrastare il riscaldamento globale e dare al pianeta nuove regole in tema d’inquinamento, essendo ormai scadute quelle di Kyoto. Il relatore al Parlamento europeo sulla Cop21 Gilles Pargneaux, socialista francese, dice: “Siamo davanti alla lotta del secolo. Se non riusciremo a evitare che il riscaldamento globale superi i 2°C entro fine secolo, avremo sempre più siccità, inondazioni, scioglimento dei ghiacciai e scomparsa di terreno coltivabile. E il cambiamento climatico sarà una delle cause dell'aumento delle migrazioni". Ma l’Assemblea di Strasburgo appare un’oltranzista verde, rispetto ai governi: chiede più tagli delle emissioni e vorrebbe raggiungere, come finanziamenti e investimenti, i 100 miliardi di dollari l'anno entro il 2020.

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