Scritto per Il Fatto Quotidiano del 15/11/2015
All’inferno e ritorno, senza mai lasciare la Francia. Per mandare all’inferno i vicini e i compagni d’una vita ormai sepolta: avendo cancellato il futuro e la speranza, tuoi e dei tuoi nemici. Che manco sanno d’esserlo. E’ la storia di Amedy Coulibaly, 33 anni, guerrigliero dell’integralismo, jihadista per vocazione (tardiva), francese che scende in guerra contro il proprio Paese, terrorista e martire, criminale e ‘giustiziere’, nel nome di Allah che, certo, di uno come lui con sa che farsene. Una storia forse simile a qualcuno dei terroristi del venerdì entrati in azione l’altra notte a Parigi: apparentemente commando misti di elementi autoctoni e di infiltrati passati da al Qaida al Califfo.
Coulibaly è uno dei protagonisti del primo atto del 2015 cruento del terrorismo integralista a Parigi: dopo la strage a Charlier Hebdo, perpetrata il 7 gennaio dai fratelli Kouachi, amici suoi, loro sì addestrati e ‘istruiti’ nei santuari del terrore dello Yemen, Coulibaly uccise a Montrouge un’agente di polizia, Clarissa Jean-Philippe.
Il 9 gennaio, poi, Coulibaly fa irruzione in un super-mercato casher a Porte de Vincennes: stretto d’assedio dalle forze dell’ordine, uccide quattro ostaggi, prima di essere neutralizzato e a sua volta ucciso dalle teste di cuoio francesi. In un video ‘postumo’, dichiarò fedeltà allo Stato islamico e disse di avere sincronizzato le proprie azioni con i fratelli Kuouachi.
Li aveva conosciuti in carcere, dov’era finito a 22 anni per rapina a mano armata: non un esproprio proletario dal sapore politico; una rapina e basta. Nello stesso carcere, ben frequentato, a Fleury-Mérogis, aveva pure incontrato un reclutatore di al Qaida, Djamel Beghal, che avrebbe dovuto essere in isolamento, ma che riusciva lo stesso a comunicare con gli altri detenuti e a indottrinarli.
Così, Amédy esce di prigione che si chiama Chérif s s’è votato all’integralismo islamico, senza neppure fare un viaggio alle fonti del terrore: la sua ‘scuola’ è stato un carcere francese; ma i rudimenti della violenza, se non del terrore, li aveva già imparati nella Citè di periferia dov’era cresciuto a Juvisy-sur-Orge, a sud-est della capitale, unico maschio d’una famiglia con nove sorelle.
Uno con la sua storia, una figura uscita dalla rabbia e dalla marginalizzazione delle banlieus incendiate nelle estate francesi, non ha bisogno d’andare in Siria o nello Yemen, per inventarsi adepto del terrore, del Califfo e dell’integralismo. Altri si addestrano e si preparano, in un andirivieni tra le centrali del terrore e la Francia.
Lui e la moglie, Hayat Boumeddiene, tuttora ricercata dalla polizia francese, che la sospetta d’avere collaborato con il marito nell’organizzazione degli attentati, erano una cellula ‘fai-da-te’: imparavano dagli amici, che ne sapevano più di loro. Davano pure nell’occhio, destavano sospetti, abbastanza perché la loro casa fosse perquisita, non abbastanza per riuscire a fermarli prima che passassero all’azione.
Ma quando Amedy lo fece, Hayat, che ha sì una storia da staffetta del terrore, per i suoi viaggi fuori della Francia, era già altrove: in viaggio verso la Siria, via la Turchia. La donna, oggi super-ricercata, ha lasciato traccia di sé l’ultima volta il 10 gennaio 2015 al passaggio di frontiera di Tell Abyad tra la Turchia e la Siria: di laà del confine, lo Stato islamico è padrone.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento