1 - Si fa in fretta a dire guerra,
ma le bombe da sole non hanno mai risolto nulla. Qual è la strada giusta per
una risposta mondiale all'Isis?
Le bombe dal cielo da sole non solo non risolvono nulla, ma rischiano di
peggiorare la situazione: ciascuna che cade fa nascere più integralisti qui da
noi di quanti non ne neutralizzi laggiù, creando una scia di dolore, lutto,
astio, odio, vendetta. Ma questo lo sanno tutti, i generali per primi e i leader
politici. Se l’obiettivo è lo sradicamento del sedicente Stato islamico e
l’eliminazione delle milizie jihadiste, la via militare passa per le Nazioni
unite, che possono dare legittimità a un intervento internazionale, con il
coinvolgimento sul terreno – si stima – di 60/70 mila soldati che possano
sfruttare l’assoluto controllo dello spazio aereo e il migliore equipaggiamento
e prevalere così sulle forze dell’auto-proclamato Califfo, valutate a non più
di 20mila uomini. Ma la guerra, anche una guerra vinta – e l’Afghanistan 2001,
come pure l’Iraq 2003, sono lì a ricordarci come vincerla a lungo termine non
sia scontato -, lascerebbe sempre strascichi di rivalsa e non eliminerebbe i
rischi da noi – anzi, la frustrazione e la rabbia sarebbero fattori di pericolo
-, mentre la dispersione dei miliziani superstiti creerebbe situazioni di
contagio altrove (e la mappa dell’integralismo è già molto articolata). La vera
risposta è dialogo e sviluppo, equità e redistribuzione: richiede l’impegno di
generazioni.
2 - Ci sono evidenti problemi d’equilibri politici interni al mondo
musulmano, tra sciiti, sunniti, e pure tra americani e russi. Da almeno cinque
anni ognuno marcia sa solo. Hanno obiettivi diversi. Ma cosa serve ora al
Medioriente?
La disunione nel Medio Oriente è totale ed è
testimoniata dal fatto che gli stessi Paesi dell’Unione europea hanno posizioni
fra loro diverse, più belliciste la Francia e la Gran Bretagna, meno la
Germania, l’Italia, la Spagna, per citare solo i Grandi. In
questo scenario, un classico della geo-politica di tutti i tempi va
continuamente in scena: i nemici che diventano amici quando c’è da combattere
un nemico comune; salvo poi tornare ad essere nemici, una volta compiuta la
missione congiunta. E, a volte, te li ritrovi contro galvanizzati dal successo
ottenuto e resi più pericolosi e più minacciosi da armamenti e da
equipaggiamenti che proprio tu hai fornito loro. In questa guerra anomala ‘al
terrorismo’, poi, gli intrecci sono molteplici su piani diversi: etnico,
religioso, d’egemonia regionale, d’interessi economici. Tutti i più o meno
convinti componenti dell’eterogenea galassia anti-jihadista vedono il Califfo
come un nemico; ma alcuni non lo vedono come il nemico peggiore. E, talora,
sembrano condividerne i valori, più di quanto non condividano quelli
dell’alleato. C’è pure chi trae vantaggio dalla conflittualità intestina araba
e musulmana ed è portato ad alimentarla. Al Medioriente serve pace e sviluppo,
ma non ora: da sempre, da almeno un secolo; e non li ha mai avuti, mai – almeno
– in modo armonico. Colpa nostra, ma non solo.
3 - E' possibile in
futuro pensare a una divisione dell'Iraq e della Siria?
L’Iraq e la Siria come li conosciamo noi sono Paesi artificiali, fittizi,
finti: nomi storici applicati a realtà geografiche, etniche, religiose
disomogenee e senza passato: confini disegnati sulla carta geografica nella
Grande Guerra, giusto un secolo fa, al momento del dissolvimento dell’Impero
Ottomano, che fu l’ultimo legittimo Califfato, tradendo subito le promesse
fatte da Gran Bretagna e Francia agli arabi oro alleati contro i turchi.
Frontiere, come molte di quelle della colonizzazione, fatte per dividere più
che per unire, tenendo conto degli interessi economici delle potenze europee
più che delle aspirazioni locali, mettendo insieme sciiti e sunniti in un
puzzle che innesca tensioni, negando una patria ai curdi –la più numerosa etnia
al Mondo senza una patria-. Nonostante ciò, il mantra della diplomazia internazionale
è l’intangibilità delle frontiere, anche quando sono palesemente
ingiustificate: qui come in certe regioni africane –Ruanda e Burundi- o nella
stessa Europa –l’Ucraina oggi, la Bosnia ieri-; un mantra che, però, ancora una
volta, risponde più a logiche d’interesse internazionali che alle aspirazioni
locali… Certo che è possibile pensare a un diverso assetto della Regione, a una
terra dei sunniti e a una terra degli sciiti, ad esempio. Ma non mi pare che si
vada in questa direzione.
4 - Per sconfiggere
l'Isis serve una risposta politica ma anche economica...
Certo, lo abbiamo già visto. Ma, attenzione!, alcuni dei Paesi protagonisti
di questo conflitto sono intrinsicamente ricchi, almeno da quando il petrolio è
un bene prezioso e fin quando lo resterà: lì, il problema non è lo sviluppo, ma
l’equità – di genere e di ceto - e la ridistribuzione, perché eccezionali agiatezze
convivono con eccezionali povertà, con divari persino più ampi che da noi e
un’inferiore percezione di ‘pari opportunità’.
5 - Il fondamentalismo
non sarà sconfitto con la possibile fine dell'Isis perchè è un problema
culturale. Come affrontarlo?
L’integralismo è malattia infantile, ma persistente, di qualsiasi credo e ideologia: contamina religione e politica, economia e società, persino scienza e sport; è una mala erba che cresce in tutti i giardini e che l’uomo non ha mai estirpato del tutto e definitivamente dentro di sé. Proprio mentre siamo confrontati col fondamentalismo islamico, abbiamo esempi di fondamentalismo cristiano negli Stati Uniti che conducono ad abiure della ragione e ad eccessi anche violenti. L’istruzione e l’educazione alla tolleranza sono chinini contro l’integralismo, ma l’antidoto non lo abbiamo ancora scovato.
L’integralismo è malattia infantile, ma persistente, di qualsiasi credo e ideologia: contamina religione e politica, economia e società, persino scienza e sport; è una mala erba che cresce in tutti i giardini e che l’uomo non ha mai estirpato del tutto e definitivamente dentro di sé. Proprio mentre siamo confrontati col fondamentalismo islamico, abbiamo esempi di fondamentalismo cristiano negli Stati Uniti che conducono ad abiure della ragione e ad eccessi anche violenti. L’istruzione e l’educazione alla tolleranza sono chinini contro l’integralismo, ma l’antidoto non lo abbiamo ancora scovato.
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