La carneficina del venerdì notte a Parigi non innesca solo un minuto di silenzio dei leader del G20, all’apertura del Vertice di Antalya in Turchia. C’è la sensazione che gli attacchi alla Francia, cruenti e indiscriminati, abbiamo dato una spallata a incertezze e reticenze della diplomazia internazionale: i Grandi approvano un testo sulla lotta al terrorismo e trovano un’intesa per intensificare la pressione sullo Stato islamico. Anche se bisognerà poi verificare la consistenza e la persistenza della sbandierata determinazione.
Neppure il ‘nemico’, del resto, ammaina la bandiera. Anzi, secondo
fonti d’intelligence, sarebbe stato il Califfo in persona, al-Baghdadi, a
ordinare attacchi contro tutti i Paesi coinvolti nella guerra allo Stato
islamico, creando una struttura per pianificare attentati in Europa e in
America: nel giro di pochi giorni, Turchia, Russia, gli Hezbollah e la Francia
sono stati colpiti. Sull’Italia, l’ombra della minaccia s’allunga sul Giubileo.
A Vienna, i ministri degli Esteri dei Paesi anti-Califfo
avevano già stabilito che i negoziati tra regime ed opposizione siriani si
aprano entro fine anno e che un governo di transizione s’insedi entro sei mesi.
Al G20, i presidenti Obama e Putin improvvisano un bilaterale, loro che da
tempo si parlano a stento: seduti a un tavolino, solo l’interprete accanto, i
due discutono accostandosi l’un l’altro. Obama assicura “braccheremo gli autori
dell’attacco all’Occidente”; Putin insiste per una “coalizione globale” contro
le milizie jihadiste.
A colloquio concluso, la Casa Bianca parla di “incontro
costruttivo”, il Cremlino non nega che “restino divergenze”. Ma la
consapevolezza che il nodo da sciogliere è la Siria pare acquisita. Senza una
chiarezza condivisa sul futuro del Paese, la macchia del terrorismo continuerà
ad allargarsi, dall’Afghanistan al Nord Africa, assumendo le connotazioni,
volta a volta, della lotta di liberazione o etnica o tribale o religiosa.
Il presidente francese Hollande al G20 non c’è. Ma la
Francia dà l’esempio ai partner: non fa passi indietro e non cede alla
minaccia: l’intervento militare in Siria “continuerà” – parola del premier
Valls -; e scuole e uffici oggi sono aperti, come dopo un qualsiasi week-end.
L’Ue convoca i ministri dell’Interno dei 28 venerdì a Bruxelles.
Il percorso che deve restituire stabilità alla Siria e
preparare il dopo Assad, superando l’attuale caos che giova al Califfo e che
penalizza la popolazione civile, in fuga dal terrore, ma anche dalle bombe dei
raid, prevede che la Giordania si faccia carico di selezionare chi sono i buoni
e chi i cattivi fra gli oppositori del regime, per invitare i primi al negoziato
e ‘bastonare’ gli altri –fra cui, di sicuro, figureranno l’Is e al-Nusra-; l’Arabia
saudita e l’inviato dell’Onu Staffan de Mistura devono invece organizzare il
tavolo della trattativa.
Ma la strada non è tutta in discesa. Restano, lo abbiamo
appena visto, divergenze tra Usa e Russia, specie sul ‘dopo Assad’; restano
divisioni nel campo degli alleati islamici, specie tra le monarchie del Golfo
sunnite e l’Iran sciita; restano differenze fra gli europei, con il livello
d’impegno militare di Gran Bretagna e Francia ben diverso da quello dei
partner; e resta, infine, il ruolo della Turchia, nemica del Califfo, ma ancor più
dei curdi, che del Califfo sono sul terreno gli antagonisti più irriducibili.
Neppure sul fronte della lotta al terrorismo l’unità è
piena. La Russia non intende inserire Hamas, Hezbollah e il Partito
dei Lavoratori de Kurdistan (Pkk) fra i gruppi terroristici: Hamas ed Hezbollah
sono storia vecchia –e nota-, ma Mosca si mette in linea di collisione con
Ankara sul Pkk.
Non c’è però da illudersi che, sciolto il nodo Siria, la
situazione nella regione si rassereni e che la minaccia integralista a casa nostra
evapori da un giorno all’altro. Non sarà così, perché i danni fatti
dall’invasione dell’Iraq e, dieci anni dopo, dall’incapacità di leggere
l’evoluzione delle Primavere arabe sono troppo estesi.
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