Scritto per Il Fatto Quotidiano del 13/11/2015
L’Europa tenta di frenare il flusso di migranti in fuga da siccità, povertà e guerra creando un fondo per l’Africa. L’ennesimo. Gli altri non sono serviti, o almeno non sono bastati, assorbiti dall’enormità dei bisogni e dispersi nei rivoli della corruzione, dell’inefficienza, delle rivalità. “Priorità all’Africa” è uno slogan che, dal G7 di Kananaskis in Canada, 2002, attraversa tutta la breve storia del Terzo Millennio.
Anche questa volta, la molla che spinge i 28 dell’Ue a un patto con l’Africa, il quinto, è l’emergenza immigrazione. Riuniti a Malta, i leader europei ed africani si mettono d’accordo sulla creazione e la gestione di un Fondo da 1,8 miliardi di euro.
L’obiettivo è lo sviluppo di quei Paesi – in particolare del Corno d’Africa, del Sahel, dell’Africa subsahariana – da cui il flusso di migranti è maggiore. La speranza è di ridurne la spinta: un obiettivo, comunque, non raggiungibile in tempi brevi. La pressione, anzi, cresce: nelle ore del Summit, vi sono state in mare nuove tragedie, sulle vie dei Balcani nuove tensioni. E la Svezia, la più ospitale dei 28, ha reintrodotto i controlli alle frontiere.
A Malta, i 28, separatamente, parlano pure dei rapporti con la Turchia, sempre in chiave emigrazione: sulla carta, ci sono 3 miliardi di euro per il governo di Ankara - 500 milioni dall’Ue in due anni e gli altri dai singoli Stati, 281 dall’Italia-, perché gestisca i 2.200.000 profughi siriani attualmente sul suo territorio, senza farli partire per l’Europa-. La Merkel, che è in questa fase la grande avvocata della Turchia, annuncia un incontro dei leader dell’Ue con il presidente Erdogan, il 29 novembre; e aggiunge che le frizioni esterne possono mettere a repentaglio la libertà di circolazione interna all’Unione. E già domenica i Grandi del Mondo si ritroveranno in Turchia, ad Antalya, per un Summit del G20.
Per il premier italiano Matteo Renzi, “il bicchiere è più che mezzo pieno”: Renzi dice che, sull’Africa come sull’immigrazione, l’Italia non è più sola, che “l’Europa ci ha seguito” e che “questo Vertice è un successo italiano”.
Il presidente della Commissione di Bruxelles Jean-Claude Juncker è meno ottimista: il ritmo di redistribuzione dei profughi da Italia e Grecia è troppo lento, “se continuiamo così, a 130 in un mese, ne avremo ricollocati 160 mila nel 2101”. Germania e Francia vogliono coinvolgere pure Giordania e Libano nella gestione dei rifugiati siriani in funzione anti-emigrazione.
Il piano d’azione per l’Africa si articola in cinque punti: cooperazione allo sviluppo; migrazione legale, cioè visti; protezione legale, cioè asilo; lotta ai clandestini e rimpatrii. E si muove su un doppio binario: investire in Africa per convincere i giovani a non cercare d’arrivare in Europa e rafforzare il meccanismo dei rimpatri con la collaborazione dei Paesi d’origine.
Il nuovo piano va ad aumentare la giungla di accordi e impegni esistente. Il primo, che era già legato all'idea di favorire lo sviluppo nei Paesi di origine per limitare l'emigrazione, venne lanciato al vertice Ue-Africa di Lisbona nel 2007 e riguardava il triennio 2008-2010. Poi, passata la crisi, i piani si sono succeduti a ritmo serrato, sovrapponendosi e intersecandosi geograficamente e finanziariamente. Ci sono il Development Cooperation Instrument (Dci), lo European Development Fund (Edf), lo European Neighbourhood Instrument (Eni), l'Asylum, Migration and Integration Fund e l'Internal Security Fund.
E ora lo stanziamento da 1,8 miliardi di euro passa attraverso un nuovo fondo: lo Eu Emergency Trust Fund for Africa, creato proprio con la firma di stamane a Malta. Non è però evidente che gli Stati ci mettano del loro altrettanto: a tuttoggi, ne sono stati raccolti un centinaio e alcuni Paesi, come Croazia, Cipro e Grecia, non ci hanno messo un soldo. L’Olanda è per il momento il maggiore contributore, con 15 milioni, davanti a Italia e Belgio con 10 milioni. Ma è probabile che Germania, Parigi e Londra allargheranno un po’ i cordoni della borsa.
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