Era il primo prelato pedofilo a essere finito sotto processo nella Città del Vaticano, giudicato da un collegio di soli laici. Ma non era certo il primo, e neppure l’ultimo, dei pedofili nella Chiesa, una gramigna che attecchisce da secoli e che estirpare non è facile. E' morto davanti alla tv accesa, presumibilmente per cause naturali, Josef Wesolowski, 67 anni, polacco, ex arcivescovo. E' stato trovato così, già privo di vita, alle 5 del mattino, da un francescano, nel Collegio dei Penitenzieri in Vaticano, dove scontava gli arresti domiciliari.
Il Promotore di Giustizia ha comunque
ordinato un’autopsia che è già stata effettuata. Illazioni e chiacchiere –non
c’è dubbio- circoleranno, quale che sia il referto dei medici: in Vaticano, le
morti improvvise lasciano sempre aloni di mistero. Basti pensare a quella di
Giovanni Paolo I, trovato morto all’alba nella sua stanza il 29 settembre 1978
dopo soli 33 giorni di pontificato: non c’è nessuna prova che il decesso del
papa del Sorriso, o del Papa di Settembre, -proprio ieri la causa di
beatificazione di Papa Luciani ha fatto progressi- non sia stato naturale; ma
ancora se ne parla.
La morte di Wesolowsky, ridotto allo
stato laicale per volere di Papa Francesco, riaccende i riflettori sul problema
della pedofilia nella Chiesa. Sul tema, dopo le energiche decisioni del nuovo
pontefice, è sceso un relativo silenzio, ma nessuno s’illude che la ‘fabbrica
dei pedofili’ si sia definitivamente chiusa.
L’impegno del Papa contro la pedofilia
si manifesta come una vera e propria rivoluzione nella Chiesa. Pochi mesi dopo
la sua elezione, Bergoglio la definisce “una lebbra nella nostra casa” e la
mette in testa all’agenda di sradicamento dei mali del clero: migliaia di
denunce, miliardi di risarcimenti, comunità sconvolte, nessun continente
esente, complicità di cardinali e vescovi, carriere vissute nel silenzio della
colpa. Il 10 giugno 2014, viene creato un tribunale ad hoc per processare i
vescovi accusati di abuso d’ufficio episcopale, cioè di avere sottovalutato o
addirittura insabbiato le denunce di pedofilia ricevute. Poi, un mese dopo, il
papa rafforza il sistema penale vaticano relativo ai delitti sui minori.
Wesolowski era sotto processo per atti
di pedofilia commessi a Santo Domingo (nei cinque anni in cui è stato nunzio
apostolico, dal 2008 al 2013) e per detenzione di materiale pedopornografico
(anche durante il soggiorno a Roma sino al suo arresto in Vaticano il 23
settembre 2014). Prova, del resto superflua, che uscire da certi percorsi è difficile,
se non impossibile.
Nel 2013 Wesolowski fu sorpreso in una
zona di prostituzione minorile di Santo Domingo. Papa Francesco ordinò il suo
immediato rientro e, dopo la sentenza di colpevolezza da parte della
Congregazione della Dottrina della Fede, lo condannò alla dimissione dallo
stato clericale.
Il suo arresto fu deciso per impedirne
la fuga. Rinviato a giudizio il 6 giugno, doveva comparire a processo l'11
luglio. Cinque i capi di accusa a lui contestati: detenzione di materiale
pedopornografico, pedofilia in concorso con un diacono, ricettazione di
materiale pedopornografico, lesioni gravi alle vittime adolescenti, condotta
che offende la religione e la morale cristiana per aver visitato siti
pornografici.
Era la prima volta che un presule
veniva sottoposto in Vaticano a un processo penale in un tribunale composto
solo da laici, proprio in seguito al "motu proprio" di Bergoglio che
ha rivoluzionato le norme di procedura penale nella Santa Sede, e ad una misura
ad hoc per superare una difficoltà formale, ossia il fatto che Wesolowski risultava
ancora vescovo perché si era appellato contro la riduzione laicale inflittagli
dall'ex Sant'Uffizio.
L’udienza dell’11 luglio, però, durò
solo tre minuti. Wesolowski, che dopo un periodo di detenzione in Vaticano era
ai domiciliari per problemi di salute, non si presentò perché colto da malore e
il processo fu rinviato a data da destinarsi. La sua morte lascia senza
giustizia le vittime e senza risposte chi nella Chiesa di Papa Francesco voleva
risalire a quanti per anni hanno coperto l'ex nunzio: l’azione penale è
estinta, la sentenza spetta ormai ad altro giudice.
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