Scritto per Il Fatto Quotidiano del 28/08/2015
Allison e Adam non saranno morti invano: la più grande
catena commerciale degli Stati Uniti, quasi 5200 punti vendita in tutta
l’Unione, smetterà di offrire fucili
d'assalto, semi-automatici e altre armi ad alta precisione. La merce sarà
rimossa dagli scaffali prima dell’autunno: l'operazione verrà completata in una
o due settimane.
Può suonare ironico, e tragicamente lo è, ma l’uccisione dei
due reporter in diretta tv a Roanoke, Virginia, ammazzati da un collega che
filma e posta sul web la sua impresa, porta come epigrafe la decisione della
Wallmart. Positiva, nell’ottica del controllo delle armi, ma ancora poco
incisiva, nonostante gli appelli della Casa Bianca e la frustrazione del
presidente Obama.
La drammatica sequenza dell’omicidio a sangue freddo di
Alison Parker, 24 anni, giornalista, e Adam Ward, cameramen, 27 anni, l’arma e
la telecamera sullo stesso asse, puntati sulla ricerca esasperata e morbosa di
visibilità e pubblicità, induce il portavoce della Casa Bianca Josh Earnest a
chiedere che "il Congresso approvi una stretta sulle armi", inviando
le condoglianze del presidente ai familiari delle vittime.
E lo stesso Obama, in un’intervista televisiva, ricorda che "il numero di persone che
nell’Unione muore a causa delle armi da fuoco è molto superiore a quello delle
vittime del terrorismo": un tasto su cui torna spesso, come quando
ricordò, dopo la strage di Charleston –nove neri uccisi in chiesa da un
‘supremazista’ bianco poco più che adolescente- che sono 11 mila l’anno le
vittime di arma da fuoco negli Usa –gli attacchi terroristici dell’11 Settembre
2001 ne fecero circa 3000- e che gli americani s’ammazzano fra di loro 297
volte più dei giapponesi, 39 volte più dei francesi –presi a credibile
paradigma europeo-, 33 volte più degli israeliani.
Ma le
parole del presidente, invece di fare l’unanimità della Nazione, la dividono e
diventano terreno di speculazione elettorale. Hillary Clinton, candidata alla
nomination democratica per Usa 2016, è “distrutta e arrabbiata” per quanto
accaduto. Ma Donald Trump, il miliardario che cerca visibilità politica, dice
che la colpa non è delle armi, ma della malattia mentale non curata del
giornalista assassino, Vester Flanagan. E Jeb Bush si merita un A+, che da noi
è un 10 con lode, dalla lobby delle armi, l’Nra (National Rifles Association),
invitando il presidente a preoccuparsi delle armi del Califfo invece che di
quelle dei pacifici e laboriosi cittadini americani “che rispettano la legge”.
Fra i
tributi alla memoria di Alison e Adam, portati da parenti, amici, colleghi e
gente qualsiasi sul luogo del duplice omicidio, c’è una felpa rosso mattone
della Virginia Tech, l’Università non lontana teatro nel 2007 della prima
strage raccontata in tempo reale dagli studenti vittime con i loro videofonini:
32 i morti, più lo studente killer di origine asiatica.
E nel
giorno dell'uccisione dei due reporter in diretta tv, la paura contagia la
cittadina di Sunset, Lousiana, dove un uomo semina il panico accoltellando due
donne –le sorelle del sindaco: una muore-, scatenando un conflitto a fuoco con
la polizia e asserragliandosi con ostaggi nel minimarket di una stazione di servizio.
Alla fine l'arresto, con l'uso dei gas lacrimogeni. Ma il bilancio è tragico:
due morti, tra cui un poliziotto, e due feriti. Ancora una volta, è una scena
da film, con il killer vestito da Rambo che per sfuggire agli agenti sfonda la
vetrina di un negozio con la sua auto.
“Reality dell’orrore”, li hanno definiti Roanoke e Sunset.
Ma la Wallmart non vuole che si dia una lettura politica della sua decisione,
presa –precisa- “da mesi”: è basata su criteri commerciali, perché c’è un calo nelle vendite di quelle armi, mentre
verrà aumentato l'inventario di altri modelli popolari tra i cacciatori. Negli
ultimi anni, però, gli azionisti di Walmart hanno fatto pressione perché la
catena rivedesse la sua politica di vendita di alcuni prodotti, come i
Bushmaster AR-15, utilizzati in stragi di massa come nella scuola Sandy Hook di
Newtown, nel Connecticut, o nel cinema di Aurora, in Colorado.
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