Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 06/08/2015
Un anno
buio, per i neri d’America: una scia di sangue e ingiustizie. L’uccisione di
Michael Brown, 17 anni, disarmato e incensurato, non è stato, come qualcuno
aveva sperato, l’ultimo episodio d’una serie già lunga, ma il primo d’una nuova
recrudescenza di violenze spesso letali della polizia contro afro-americani.
Fino a culminare, in primavera, nella strage in chiesa a Charleston, South
Carolina: nove le vittime, un esplicito crimine di odio razziale, dove le forze
dell’ordine non c’entrano nulla, ma c’è in gioco l’astio contro i neri di chi
s’imbeve dell’ideologia della supremazia dei bianchi.
Difficile
dire se il fenomeno sia davvero in aumento rispetto al passato o se si sia
acuita l’attenzione dell’opinione pubblica per questi episodi. Di sicuro, c’è
una maggiore sensibilità dei media e pure della giustizia – federale e talora
locale -, dopo che per molto tempo gli abusi degli agenti sui neri erano stati
valutati con molto lassismo.
Di
sicuro, la presidenza Obama è stata tirata in causa. Per alcuni, un nero, il
primo, alla Casa Bianca esaspera, di per sé, la tensione razziale, creando
malessere e acuendo l’ostilità di quanti professano la superiorità dei bianchi,
come l’omicida di Charleston, poco più d’un adolescente, armato d’odio e d’un
arsenale. Per altri, Obama ha fatto poco, o nulla, per la sua gente. Ma il
fatto che ad affermarlo vi sia pure il candidato alla nomination repubblicana
Donald Trump dovrebbe, di per sé, togliere valore all’affermazione.
Il presidente è però
conscio che la sua presidenza, al di là del valore simbolico, di per sé
comunque notevole, della sua presenza alla Casa Bianca, non ha fatto avanzare i
diritti dei neri come ha invece fatto per i diritti civili delle coppie omosessuali.
Di qui, un rinnovato impegno, rilanciato di recente, contro la segregazione:
“Basta con città come Chicago”, ha detto il presidente, partendo dalla sua.
Prende enfasi lo slogan “le vite dei neri contano”, che la battistrada
democratica per Usa 2016 Hillary Rodham Clinton fa suo. La giustizia federale,
alfine, si mobilita e cerca di surrogare lentezze e favoritismi locali. E il Comune di New York versa un indennizzo di 5,9 milioni
di dollari alla famiglia di un nero ucciso dalla polizia in un episodio
controverso.
L’imprinting di tutta
la sequela di episodi recenti risale, in realtà, al 26 febbraio 2012, quando Trayvon
Martin, 17 anni, è ucciso da un vigilante volontario ispanico in un sobborgo di
Orlando (Florida). Il ragazzo, disarmato e incensurato –è quasi un cliché, in
queste cronache-, camminava tenendo in mano un sacchetto di dolciumi e una
lattina di té freddo: la sua colpa, avere il cappuccio della felpa tirato su.
L’episodio segna Obama come presidente e come padre, “Quel ragazzo poteva essere
mio figlio”, dice. Ma l’assassino viene assolto.
Quando,
il 9 agosto 2014, Michael Brown viene
ucciso a Ferguson, un sobborgo di St.Louis (Missouri) con colpi d’arma da fuoco
alla testa, perché sospettato d’un furto commesso poco prima, di cui era
innocente, le comunità nere d’America si mobilitano. E quando, a novembre, una
giuria decide di non incriminare il poliziotto che ha sparato, Darren Wilson, le
tensioni di riaccendono: cortei di neri, e non solo, sfilano in tutta l’Unione,
con le mani in alto, il gesto di chi s’arrende (ma viene lo stesso abbattuto).
Il 22 novembre, Tamir
Rice, 12 anni, un bambino, viene ucciso in un parco a Cleveland; qualcuno
chiama la polizia segnalando che un ragazzino, in un parco nella periferia,
spaventa i passanti con una pistola "probabilmente" giocattolo. Fli
agenti arrivano, si avvicinano e, nel giro di due secondi, sparano due volte,
ferendolo a morte. E la lista s’allunga a Manhattan, Indianapolis –un uomo che
scappa in un parco senza minacciare nessuno abbattuto a sangue freddo-, Staten
Island, Baltimora, Toscaloosa, Charleston, che non questa serie non c’entra
nulla, ma è una mattanza di neri.
Spesso, la brutalità,
l’inesperienza, la violenza, la superficialità, la paura degli agenti sono
testimoniate da video amatoriali. L’ultima agghiacciante sequenza risale al 19
luglio, a Cincinnati: l’assassinio d’un automobilista nero di 43 anni, padre di
dieci figli, disarmato, che guidava alticcio un’auto senza targa. Il poliziotto
che lo ferma gli spara alla testa e cerca d’inscenare una legittima difesa:
questa volta, lo hanno subito licenziato e nel giro di due settimane incriminato.
Un anno dopo Ferguson, comincia a esserci più giustizia per i neri in America?
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