Il presidente Obama contro la Sporchissima Trinità, il trio più inquinante dei settori industriali dell’economia americana: l’energia, quella derivata dagli idrocarburi, il cui marchio feticcio è quello della Exxon; i trasporti, specie su strada, che hanno nella General Motors il loro campione; quel che resta dell’industria tradizionale, che una volta aveva nella US Steel la sigla di riferimento ma che oggi annovera soprattutto chimica e farmaceutica.
La Casa Bianca ha ieri annunciato "il
più importante passo per combattere i cambiamenti climatici" mai
deciso dagli Stati Uniti: una limitazione "senza precedenti"
delle emissioni di gas serra. Il piano di Obama prevede, fra l’altro, un
taglio alle emissioni prodotte dalle centrali termoelettriche: 32% entro il
2030 rispetto al 2005, il 9% in più del previsto. La mossa mira a incoraggiare
l’opzione delle energie rinnovabili.
La crociata per il clima di Obama avrà
risvolti di politica interna e internazionale, oltre che prevedibili contraccolpi
elettorali. Sul fronte interno, il presidente democratico lancia una sfida,
ma offre anche un’occasione di dialogo, all’opposizione repubblicana, che è
maggioranza al Congresso e che è generalmente più attenta alle ragioni
delle imprese che a quelle dell’ambiente.
Sul piano mondiale, Obama vuole portare gli Stati Uniti, i Grandi
Inquinatori del Pianeta insieme alla Cina, con le carte in regola al Vertice di
Parigi del prossimo dicembre: lì, bisognerà definire una ‘nuova Kyoto’, regole
anti-riscaldamento per la prossima generazione. L’Unione europea ha già fatto i
compiti a casa. E l’America ora si adegua, cercando di lasciare il cerino in
mano alla Cina e ai Paesi emergenti, che nell’era della globalizzazione non
possono continuare a invocare la libertà d’inquinare come una sorta d’indennizzo
allo sfruttamento subito al tempo della colonizzazione e dell’industrializzazione.
I contraccolpi elettorali si avvertiranno nei prossimi 15 mesi, quanti ne
mancano alle presidenziali dell’8 novembre 2016, con la (quasi scontata)
candidata democratica Hillary Clinton a condividere la proposta della Casa
Bianca e la ridda di concorrenti alla nomination repubblicana impegnati,
invece, a prendere le distanze, ma pure a differenziarsi fra di loro. Il più
svelto a cavalcare la tigre è stato il giovane senatore della Florida Marco
Rubio, ma le critiche, più o meno rozze, sono un coro.
La competizione si gioca anche sugli endorsement politici, cioè sulle
sovvenzioni alle campagne, dei settori produttivi: l’economia tradizionale sta,
in genere, con i repubblicane, la new e la green economy stanno con i democratici,
insieme a internet e alla cultura. Anche se i grandi conglomerati non puntano
mai tutto le loro carte su un solo cavallo e non fanno mai mancare il loro
sostegno, sia pure in misura diversa, a entrambi gli schieramenti.
Nel 2013, gli Stati Uniti hanno prodotto 6.673 tonnellate equivalenti petrolio
di CO2, meno del picco di quasi 7.500 raggiunto nel 2007, ma in aumento
rispetto al minimo di poco più di 6.500 registrato nel 2012 –la crisi ha
indubbiamente favorito un calo delle emissioni-.
Secondo i dati dell’Agenzia per la Protezione dell’ambiente, l’Epa, l’equivalente
Usa del Ministero dell’Ambiente, il 31% dell’effetto sera ‘made negli Stati
Uniti’ deriva dall’industria energetica, specie quella basata sugli
idrocarburi; il 27% è responsabilità dei trasporti, specie quelli su strada; e il
21% dell’industria tradizionale. I servizi e i consumi residenziali contano per
il 12%, l’agricoltura per il 9%. A ciò si contrappone parzialmente l’azione
positiva delle foreste, che assorbono il 13% delle emissioni: è dal 1990 che
l’uso responsabile del territorio e delle foreste ne ha fatto un alleato nella
lotta contro il riscaldamento globale.
Nel suo annuale rapporto, l’Epa riconosce che “le attività umane sono responsabili per pressoché tutto l’aumento di gas serra nell’atmosfera negli ultimi 150 anni”: una tesi che i repubblicani non sono pronti ad accettare. Dal 1990 a oggi, nonostante gli impegni a ridurle, le emissioni Usa sono aumentate del 6%, con un andamento condizionato da cicli economici e variazioni climatiche.
Nel suo annuale rapporto, l’Epa riconosce che “le attività umane sono responsabili per pressoché tutto l’aumento di gas serra nell’atmosfera negli ultimi 150 anni”: una tesi che i repubblicani non sono pronti ad accettare. Dal 1990 a oggi, nonostante gli impegni a ridurle, le emissioni Usa sono aumentate del 6%, con un andamento condizionato da cicli economici e variazioni climatiche.
Sul banco degli accusati, ci sono soprattutto:
-
l’industria dell’energia: il 67% dell’elettricità consumata
nell’Unione deriva da combustibili fossili, soprattutto carbone e gas naturale;
-
il settore dei trasporti: auto e autotreni, treni,
navi, aerei utilizzano al 90% carburanti a base di petrolio;
- l’industria tradizionale continua a utilizzare
energia derivante da combustibili fossili per la trasformazione delle materie
prime in beni di consumo.
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