Uno che chiacchiera così tanto, e spesso a vanvera, qualcosa di giusto – statisticamente parlando - prima o poi lo dice. E Mother Jones, sito Usa per certi versi tipo DagoSpia, a Donald Trump gliene conta addirittura 13, di cose giuste dette. Intendiamoci, l’articolo ha un sapore fortemente sarcastico, perché - chiarisce l’attacco - “l’essenza di Trump è vomitare insulti sulla gente che gli si mette di traverso”.
E le cose giuste gli capita di dirle “quando non insulta i giornalisti
che lo intervistano e che hanno l’ardire di fargli delle domande scomode, o quando
non parla male di Hillary Clinton, delle donne in genere, dei neri, dei
messicani, del presidente Obama, del senatore John McCain” e di altri ancora
vittime dei suoi strali. Per di più, il pezzo ha la firma di un collega , Tim
Murphy, il cui cognome evoca la devastante, ma azzeccatissima ‘legge di
Murphy’, secondo la quale se qualcosa può andare male, puoi star sicuro che
andrà male.
Ma quali sono le
13 cose giuste che Mother Jones riconosce a Trump? Alcune appartengono al
gossip dello showbiz e dello sport e, raccontate agli italiani, sono poco comprensibili
(ammesso che lo siano per gli americani). Ma altre hanno rilevanza politica. Ad
esempio, la condanna, espressa già nel 2003, dell’invasione dell’Iraq decisa da
George W. Bush, “un disastro”. Il giudizio su Dick Cheney, il vice di Bush, “un
uomo molto arrabbiato e cattivo”, parole del 2011. L’effetto corruttivo del meccanismo
di finanziamento delle campagne elettorali. L’eccessivo attaccamento, anche il
suo, alle ricchezze materiali. L’opportunità di legalizzare le droghe, perché
reprimerle è uno spreco e ingrassa gli zar del traffico. La necessità di
riesaminare la spesa sanitaria, espressa nel 2000. Di se stesso dice “sono una
lagna”. Forse per invidia, definisce gli studenti di Harvard imbroglioni e
bugiardi – e Tim Murphy commenta “a nessuno piace Harvard”.
L’idea
dell’articolo di Mother Jones nasce dalla guerra verbale dichiarata dal magnate
dell’immobiliare a Megyn Kelly, cronista della FoxNews, un network sulla carta
amico dei conservatori, moderatrice del dibattito fra candidati alla nomination
repubblicana per Usa 2016.
Trump ha già pagato con un cartellino rosso i
reiterati –e volgari- attacchi contro la Kelly: è stato escluso da un
importante incontro con attivisti conservatori ad Atlanta, in Georgia. L'organizzatore
Erick Erickson, famoso blogger e fondatore del sito RedState –rosso è il colore
dei repubblicani, negli Stati Uniti-, ha definito "umilianti" le
frasi di Trump contro la giornalista.
La polemica
conferma che più gaffes fa e più enormità dice, più Trump rafforza la propria
popolarità, ma anche polarizza l’opinione pubblca: chi lo ama lo idolatra; e
chi non lo ama non lo sopporta più. E’ la sua forza, ma anche il suo limite:
perché se c’è chi è pronto a votare per lui, c’è molta più gente che non lo può
vedere. E, poi, molti di coloro che lo scelgono come campione sono quelli che,
quando c’è da andare a votare, non ci vanno.
Nei sondaggi,
Trump resta in testa al gruppone degli aspiranti alla nomination repubblicana.
Ma, rispetto ai rivali più accreditati, è quello che perde in modo più netto il
match per la Casa Bianca con il candidato democratico, sia contro Hillary
Clinton, un’altra che polarizza fortemente l’elettorato, sia contro Joe Biden,
il vice-presidente, un cavallo di riserva che non è ancora sceso in lizza. Ed è
soprattutto per questo che l’establishment repubblicano non vuole Trump: lo
considera una scelta perdente.
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