Ormai, oligarchi, satrapi, leader autoritari di mezzo Mondo l’hanno capito: se vogliono reprimere il nemico interno con la benedizione delle democrazie occidentali, basta che mimetizzino da lotta al terrorismo la repressione. E tutto diventerà loro lecito. Il primo fu Putin, che aderì alla guerra al terrorismo di Bush II, schiacciando l’insurrezione cecena (che ci mise del suo nel dargliene buoni motivi, dal teatro di Mosca alla scuola di Beslan). Ma ci riuscì pure un dittatore come Gheddafi, che nel 2002 barattò la benevola tolleranza verso il suo regime di americani e britannici con la consegna d’obsoleti arsenali.
Adesso, il presidente turco Erdogan schiera la sua aviazione
nei raid anti-Califfato, così che può soffocare nel sangue l’anelito dei curdi,
gli unici efficaci sul terreno contro le milizie jihadiste, all’autonomia e
all’indipendenza. E il presidente egiziano Abdul al-Sisi vara un nuovo
pacchetto di severe misure per contrastare il terrorismo integralista: una
raffica di 54 provvedimenti, che critici del generale divenuto presidente
rovesciando il presidente legittimo Mohamed Morsi e difensori dei diritti umani
considerano un armamentario per stroncare il dissenso interno: c’è il timore
che pugno di ferro contro gli jihadisti possa essere usato in modo
spregiudicato.
Le misure egiziane danno una definizione molto generica di
terrorismo: ogni atto che lede l’ordine pubblico con la forza, per cui una
protesta studentesca o una manifestazione popolare rischiano di finirci dentro alla
prima sbavatura. Sono inoltre previste multe pesantissime - decine di migliaia
di euro - per i giornalisti che danno "notizie o dichiarazioni false"
su atti terroristici o che pubblicano informazioni che contraddicono le note del
ministero della Difesa. Ovviamente con buona pace della liberà di stampa e di
informazione.
La bozza originale, che prevedeva due anni di carcere, è
stata rivista sotto il peso di una valanga di contestazioni, interne e
internazionali. Amnesty
International avverte che le nuove leggi impediranno la libertà di espressione
e il diritto di manifestare, creando in Egitto uno stato d’emergenza
permanente: "Queste misure –dice l’organizzazione- diverranno un altro
strumento per stroncare ogni dissenso e spianare i diritti umani”.
Il pacchetto sancisce che i processi ai danni di sospetti
terroristi siano gestiti da tribunali speciali. Chi aderisce a un gruppo
radicale rischia 10 anni di carcere; finanziare un’associazione terrorista può
costare l'ergastolo, ovvero 25 anni di carcere); esaltare atti di natura
violenta o creare un sito per diffondere messaggi di matrice integralista comporta
pene fra i 5 e i 7 anni di carcere.
Al-Sisi aveva promesso un giro di vite anti-terrorismo a
giugno, dopo l’attentato all’autobomba che aveva ucciso al Cairo il procuratore
generale Hisham Barakat. Il piano ora varato prefigura un irrigidimento del braccio di ferro del generale
presidente con i Fratelli Musulmani, che avevano democraticamente espresso il
presidente Morsi -divenuto poi impopolare- e che ora sono messi al bando come organizzazione
terroristica, arrestati a migliaia e costretti alla clandestinità.
Ora, sarebbe il caso di prendere le distanze dal pacchetto e
dal generale, i cui tribunali, intanto, impartiscono a centinaia condanne a
morte a dissidenti e islamisti. Con l’effetto, è scontato, d’inasprire lo
scontro e d’innescare, anziché sopire, la minaccia terroristica, nel Sinai, ma
anche al Cairo e nei luoghi turistici: è una strategia da militare, arrivare
alla normalizzazione attraverso la guerra, invece che alla pacificazione
tramite il dialogo.
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