Pare uno di
quegli ‘eroi’ della politica nostrana, che quando arrivano in scena nessuno ci
punta sopra un soldo e che, invece, ad ogni gaffe che fanno, o stupidaggine che
dicono, guadagnano consenso e popolarità: tipi di successo, con i soldi e con
le donne, nel senso che ne hanno tanti e –se vogliono- tante, così che la gente
s’identifica volentieri con loro e li segue.
Fino a votarli?
Non esageriamo, almeno negli Stati Uniti. In Italia, succede, ma è un’altra
storia. Eppure, Donald Trump, il miliardario ‘rosso’ - per via dei capelli e
basta - guida, in tutti i sondaggi, il gruppo foltissimo dei pretendenti alla
nomination repubblicana: quattro governatori e quattro ex governatori, quattro
senatori e un ex senatore, un neuro-chirurgo –l’unico nero- e una manager
–l’unica a donna-, oltre a lui.
Se uno qualsiasi
dei suoi antagonisti avesse fatto una sola delle sue gaffes, sarebbe fuori. Lui
va avanti, alza il tiro e tiene botta. Intendiamoci: chance di ottenere la
nomination zero; e di diventare presidente meno, perché lui polarizza consensi,
ma soprattutto dissensi. Però, finché le preferenze dei repubblicani sono così
sparpagliate fra tanti nomi, Trump capitalizza un gruzzolo di ammiratori tra un
sesto e un quinto del potenziale elettorato conservatore e fa il battistrada.
Lui in campagna si
comporta come fa nella vita, o in una puntata di The Apprentice: una caricatura,
o quasi, di se stesso, come il Briatore della realtà lo è del Briatore di
Crozza, che però ha un pizzico d’autoironia. Magnate del business, investitore,
showman e scrittore, Trump, 69 anni, figlio
d’arte – è nato ricco -, è l'amministratore delegato e presidente della Trump
Organization ed il fondatore del Trump Entertainment.
Tre matrimoni e
cinque figli, tra cui Ivanka, figlia di Ivana, la prima moglie, che gli fa concorrenza
sulle riviste di gossip, Trump entra regolarmente nella classifica di Forbes
dei paperoni Mondo. Ma se la rivista gli attribuisce ‘solo’ 2,9 miliardi di
dollari, lui ne vanta in tv 9 e il Washington Post avalla la sua pretesa.
La tentazione di correre da indipendente
L’ultima trovata
è la minaccia di correre da solo, da
indipendente. Anche se pure Trump sa bene che il terzo uomo, nelle
presidenziali americane, non vince mai: al massimo fa perdere, come accadde con
Ross Perot nel ’92 – la sconfitta di Bush padre fu opera sua, oltre che di Bill
Clinton - e con Ralph Nader nel 2000 – i voti della Florida al ‘guru dei
consumatori’ furono quelli mancanti ad Al Gore per conquistare la Casa Bianca-.
Di certo, Trump è deluso dalla tiepida accoglienza fattagli
del Comitato nazionale repubblicano (Rnc). In un'intervista al quotidiano The
Hill, Trump accusa l'Rnc di essergli "poco di sostegno", diversamente
da quanto accadeva quando era "un donatore" dei repubblicani: cioè, i
soldi li prendono, ma i voti non ci stanno a darli. Sull’ipotesi di correre da
outsider, dice: "Dovrò vedere come mi trattano i repubblicani. Se non sono
corretti, la prenderò in considerazione". Si presentasse come indipendente,
dividerebbe il campo conservatore, a tutto vantaggio dei democratici.
Che i rapporti di Trump con il partito siano tesi non stupisce, visti gli attacchi lanciati non solo contro gli altri candidati, ma anche contro icone repubblicane, come il senatore John McCain, candidato 2008 alla Casa Bianca. "Non è un eroe di guerra", ha detto di lui Trump: lo si considera tale solo "perché venne catturato" e tenuto prigioniero 7 anni dai Vietcong. E poiché la Casa Bianca interviene a tutela di McCain, Trump se la prende con il presidente Obama che “non ha fatto niente per gli afro-americani”: detto del primo presidente nero Usa, suona sferzante.
E così Donald s’è messo di traverso con i reduci, dopo essersi inimicato i ‘latinos’ sostenendo che gli immigrati clandestini in arrivo dal Messico sono “stupratori” e “delinquenti”: lui vuole costruire un muro sul confine, perché “i messicani non sono nostri amici”. Un sopralluogo a Laredo, cittadina di frontiera, è stato contestato dallo stesso sindacato degli agenti doganali.
Eppure, Trump nei sondaggi tiene. Anzi, più gaffes fa più lontano va, sfruttando la modesta levatura di molti antagonisti, personaggi ignoti all’elettorato nazionale, e la sua straordinaria capacità di fare notizia. Nel bene e nel male, certo, ma che importa? Persino soldati e simboli nazisti nei suoi tweet, ogni gaffe lo rende più popolare, o almeno più noto.
Nessun osservatore crede davvero che Trump possa ottenere la nomination, ma di lui si parla ovunque, soprattutto per criticarlo: hackers avrebbero nel mirino le sue carte di credito, Miss Usa ne contesta le affermazioni razziste, il presidente Obama e Hillary Clinton lo attaccano per le posizioni sugli immigrati e pure Jeb Bush e altri candidati repubblicani ne prendono le distanze sull'immigrazione. Lui fa il monello e, indispettito dalla critiche di uno dei rivali meno considerati, il senatore Lindsey Graham, ne diffonde il numero di cellulare: “chiamatelo”, chiede ai suoi fans.
Pure Neil Young, cantautore di fama mondiale, canadese e ‘liberal’, se la prende con Trump: non ha per nulla gredito che il miliardario abbia usato una sua canzone per lanciare la propria candidatura. Elliot Roberts, manager dell’artista, fa sapere che Young con Trump non c’entra nulla. Il musicista, nel 1989, cantò, in ‘Rockin’ in the free world’, l’America dei poveri e degli homeless, criticando con sarcasmo l’allora presidente George Bush, e sostiene per Usa 2016 il senatore Bernie Sanders, democratico del Vermont, ‘anti-Hillary’ da sinistra, l’unico politico americano che si auto-definisce ‘socialista’.
I ricchi, i cammelli e la Casa Bianca
E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un povero vada alla Casa Bianca: se l’adattamento alla politica americana dell’aforisma evangelico funziona –e la realtà non l’ha mai smentito-, Donald Trump ha chances di farcela. Lui se ne vanta: "Io sono molto ricco, quindi non ho bisogno dei lobbisti … Sarò il più grande presidente per il lavoro che Dio abbia mai creato".
L’annuncio della candidatura è stato fatto,
a giugno, con un evento a New York, nella Trump Tower, davanti al Palazzo di
Vetro dell’Onu. Introdotto dalla figlia Ivanka, Trump ha detto che
"l'America ha bisogno di un grande leader", mentre Obama non va bene
neppure come ‘cheerleader”.
Trump s’è presentato come "un
vincitore" in un'America "che non vince più” e che anzi perde contro
la Cina, il Giappone, il Messico, il resto del Mondo. Vestito con i colori
della bandiera, l’abito blu, la camicia bianca e la cravatta rossa, l’aspirante
presidente ha attaccato l'Amministrazione Obama su tutta la linea, ma anche i
repubblicani che “fanno solo retorica e non parlano dei problemi reali dell'America”.
Per il miliardario, i suoi rivali "non
sarebbero mai in grado di rendere l'America di nuovo grande” perché “sono
controllati dai lobbisti, dai finanziatori, da interessi particolari".
E se "l'America pare un Paese del terzo
mondo", è perché i suoi leader "sono stupidi". Lui è l'unico in
grado di restaurare il "sogno": non vi pare di sentire il Briatore di
Crozza?
Scheda
Fra quindici
mesi, l’8 novembre 2016, cento milioni di americani, la metà degli aventi
diritto, andranno alle urne per eleggere il loro 45° presidente. Le primarie
per scegliere i candidati dei due maggiori partiti, democratico e repubblicano,
inizieranno a gennaio con le assemblee (caucuses) nello Iowa e il voto nel New
Hampshire. Le primarie proseguiranno fino a giugno. L’investitura dei candidati
avverrà in estate nelle conventions. La campagna ufficiale comincerà 60 giorni
prima dell’Election Day.
I candidati
democratici sono tre, ma Hillary Rodham Clinton, ex-first lady, ex senatrice
dello Stato di New York, ex segretario di Stato, già in lizza nel 2008, corre
quasi da sola, perché i suoi antagonisti non fanno il peso.
Fra i
repubblicani, invece, il lotto degli aspiranti alla nomination è molto folto,
sono 16, troppi. E’ forte la tentazione di un match rivincita del 1992 fra le
dinastie Clinton e Bush (in corsa c’è Jeb, figlio e fratello rispettivamente
del 41° e 43° presidente). Qualcuno si arrenderà prima dei verdetti dello Iowa,
forse già dopo i test di questa settimana, con annessi dibattiti, nello stato
rurale del Mid-West, dove i candidati più conservatori sono favoriti.
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