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mercoledì 7 ottobre 2015

Iraq: generale Arpino, un'oretta perché Tornado siano operativi

Scritto per LaPresse lo 06/10/2015

“Un’oretta”: è il tempo che ci vuole perché i Tornado italiani attualmente dislocati in Iraq come
ricognitori tornino ad acquisire la loro modalità operativa: possano, cioè, sganciare bombe. L’indicazione viene dal generale Mario Arpino, che dall’ottobre del 1990 al marzo del 1991, cioè durante la Guerra del Golfo, fu a capo dell’unità di coordinamento aereo di Riad in Arabia Saudita. In seguito, il generale Arpino fu dal 1995 al 1999 capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica militare e, quindi, fino al 2001, capo di Stato Maggiore della Difesa.

Per restituire ai Tornado ricognitori il loro ruolo di caccia bombardieri –dice il generale Arpino, rispondendo a una domanda de La Presse- ci vuole “un’oretta, se il materiale (come sono quasi certo) è già in loco. Basta togliere da sotto la pancia il pod fotografico, montare sul corpo delle bombe il sensore elettro-ottico e laser e caricarle sui racks (che in situazioni operative dovrebbero essere rimasti montati). Tutti questi sistemi sono già integrati nelle circuiterie del main computer. Basta attivare i collegamenti, inserire nel sistema i dati di navigazione e partire”.

Attualmente, in Iraq che cosa facciamo?

“Dal novembre 2014, la nostra Aeronautica ha rischierato in Kuwait alcuni caccia bombardieri-ricognitori Tornado –quattro, ndr-, ricognitori a pilotaggio remoto Predator –due, ndr- e un grosso aereo-cisterna. Nel quadro delle operazioni anti-Isis, questa forza è assegnata al CentCom, il
Comando Centrale Usa geograficamente competente, dove siedono permanentemente anche i rappresentanti delle nazioni che partecipano alla coalizione.

Il distaccamento italiano svolge a supporto di questo Comando, quindi a beneficio di tutti gli alleati, un ruolo di rilievo, fornendo in tempo reale parte dell’intelligence necessaria alle operazioni.

Potrebbe esserci stato chiesto di fare di più? Le attività (della coalizione in Iraq, ndr) si stanno intensificando ed è assai probabile – se non è già stato fatto – che sia richiesto anche all’Italia, che ha già sul terreno, in qualità di addestratori, paracadutisti della Folgore e carabinieri, di allargare il proprio contributo partecipando con gli stessi velivoli anche agli attacchi contro le forze del sedicente Stato Islamico”.

Sarebbe un fatto nuovo per l’impegno militare italiano all’estero?

“Non ci sarebbe nulla di nuovo: a 25 anni da Desert Storm , per i piloti la ‘guerra dimenticata’, i Tornado ritornerebbero a lanciare bombe sull’Iraq. Di precisione, questa volta, come in Libia nel 2011, visto che velivoli, armamenti, tattiche e addestramento da allora si sono molto evoluti. La decisione, come nel gennaio del 1991 per Desert Storm, spetterà al Parlamento. L’Aeronautica si farà trovare pronta ed eseguirà. Come in Libia”.

Perché in Iraq sì e in Siria no?

“Innanzi tutto è questione di legittimità: il governo iracheno ha chiesto a tutta la coalizione di bombardare l’Isis, mentre la Siria lo ha chiesto solamente ai russi. Secondo, perché, anche grazie al nostro contributo di intelligence, in Iraq la situazione sul terreno e molto più chiara. Quindi
eventuali errori – sempre possibili - sono assai meno probabili”.

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