Il ‘Veni, vidi, vici’ di Giulio Cesare
non s’adatta a Barack Obama. Sulla Siria, men che mai. Lui a fare la guerra non
ci va, cioè non ci manda i suoi soldati. Anzi, dall’Iraq li ha ritirati tutti quasi
di botto, entro il 2012, come aveva promesso; e guardate che cosa è
successo. E in Afghanistan, al posto di
ritirarli tutti entro il 2014, ha lasciato un contingente Usa/Nato; e guardate
che cosa sta ugualmente succedendo.
Non ci va e non sa neppure che cosa
accade, perché non ha un’intelligence che gli faccia captare i fatti e,
soprattutto, il loro impatto sugli sviluppi: proprio la Siria, come già la
Libia, per non parlare dell’Iraq, ne sono un esempio, Quindi, alla fine gli
riesce difficile vincere.
Vista dagli Stati Uniti, la questione
siriana, dopo quattro anni e mezzo di guerra civile, centinaia di migliaia di
morti e milioni di rifugiati, si sintetizza facilmente: il presidente Assad
deve andarsene. Lo dice la Casa Bianca e lo dice pure l’opposizione
repubblicana. L’America non ha lì grossissimi interessi economici e può quindi permettersi
di prendere posizioni di principio.
Ma sul come cacciarlo e come
sostituirlo, le cose sono meno chiare e meno semplici. Come cacciarlo, prima:
se non ci pensi tu a buttarlo giù, deve pensarci qualcun altro. L’opposizione
moderata, ad esempio, quella dell’Esercito di liberazione siriana. Ma l’Els
sembrano sapere dov’è solo le bombe russe, di cui si lamenta che gli piovono
addosso, oppure quelle dei lealisti: la sensazione è che buona parte dei
rifugiati siriani che giungono in
Europa, istruiti ed economicamente non messi male, siano oppositori in fuga,
che abbandonano le case e la lotta.
Restano al-Nusra, che è contro Assad e
pure contro il Califfo: perfetto! Peccato che siano anche loro integralisti,
magari un po’ nazionalisti e un po’ ‘qaedisti’, ma vatti a fidare! E, infine,
ci sono le milizie jihadiste, che sono il nemico giurato degli Usa e dei loro
alleati, oltre che del presidente Assad, Quelli li devi fermare, perché, se si
prendono la Siria, poi togliergliela sono rogne. Obama ha messo su una
coalizione: con gli americani bombardano le milizie del Califfo francesi e
arabi del Golfo; senza grandi risultati, però. Ora, ci si sono messi pure i
russi, che non ci vanno tanto per il sottile e fanno di ogni erba (anti-Assad)
un fascio.
Ora, se le priorità americane sono
cacciare Assad ed impedire al Califfo d’impadronirsi della Siria, la questione
a seguire è chi debba governare il Paese nel ‘dopo Assad’. Mosca chiede che il
presidente dittatore non sia escluso dalla trattative sul futuro della Siria,
Washington esclude che Assad possa essere una soluzione del problema. Ma se
parli poco con Putin e non parli col regime, e ovviamente neppure con il
Califfo o con al-Nusra, è difficile trovare una soluzione. Da quando è
scoppiata la guerra civile, al-Assad ha rivinto le elezioni, ma ha perso un
quarto della popolazione in fuga e porzioni di territorio importanti: a Nord la
striscia al confine con la Turchia è nelle mani dei curdi; l’Ovest e tutta la
frontiera con l’Iraq è sotto il Califfato; e lui è asserragliato tra Damasco e
il Mediterraneo, dove ci sono gli alauiti, la sua comunità.
Certo che, a stare con le mani in mano,
conducendo a Ginevra negoziati con personaggi che nessuno sa bene quanto contino
in Siria, Obama non va molto lontano: Putin pare l’uomo della provvidenza (di
Assad), ma anche il castigo del Califfo. I repubblicani lo pungolano a fare di
più, ma non troppo, perché neanche loro hanno voglia d’andare a fare la guerra
laggiù. E il tema è già sull’agenda delle presidenziali 2016, con Hillary
Clinton che, per smarcarsi dalla sterile posizione presidenziale, si mostra un
po’ più interventista.
Nulla a confronto del potenziale
candidato repubblicano Donald Trump, che, senza avere nessuna esperienza di
politica estera, ci s’orienta benissimo: predica sistematicamente l’opposto di
quello che Obama fa (o dice).
Trump rimpiange Saddam e Gheddafi, gli uomini
forti di Iraq e Libia rovesciati e uccisi. E fa un’apertura di credito ai russi:
“Se vogliono colpire il Califfo, bene” che intervengano. Della strategia Usa,
dice: "Se guardi alla Libia e a ciò che abbiamo fatto lì, è un grande
caos. Se guardi all'Iraq e a ciò che abbiamo fatto lì, è un grande caos. E sarò
lo stesso pure in Siria", dove Assad “rischia di essere rimpiazzato da
qualcuno di persino peggiore". Non è che abbia proprio tutti i torti.
Ma siccome la coerenza non è il suo
forte, Trump critica pure i russi che si cacciano “dove ci sono tante
trappole”. E poi torna a prendersela con Obama: : “Noi diamo sempre armi,
miliardi di dollari in armi, e poi ci si mettono contro. Non conosciamo le
persone che pensiamo di sostenere. Non sappiamo nemmeno chi stiamo sostenendo”.
E anche qui non è che abbia proprio tutti i torti.
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