Scritto per il numero 308 di Media Duemila, settembre 2015
Quando ero
un bambinetto delle Elementari, il mio maestro – ricordo che si chiamava
Borrini: era un uomo mite d’aspetto e di carattere, per le impressioni che mi
ha lasciato, e cui porto ancora affetto - si raccomandava sempre che non
confondessimo, nello scrivere i nostri pensierini, e più ancora nel risolvere i
problemini d’aritmetica, “mele con pere”, cioè che ci abituassimo a tenere
distinti gli argomenti come gli addendi (o i fattori).
Chissà se
i maestri d’oggi rivolgono ancora ai loro allievi le stesse raccomandazioni.
Certo, nell’informazione –tradizionale e ‘new’- c’è una fortissima tendenza a
fare minestroni, costruire zibaldoni, apparecchiare insalate russe, dove si
trova tutto e il contrario di tutto senza troppo – anzi punto - preoccuparsi
delle contraddizioni interne e contestuali: non solo mere e pere sommate
insieme, ma pure ciliegie e arance, frutta di stagioni diverse – tanto, si sa,
le stagioni non esistono più, dopo che già c’eravamo sbarazzati delle ‘mezze’ -.
E più
l’informazione tende a diventare un flusso indistinto di scoop e trash, notizie
e bufale, dove non solo non distingui più le mele dalle pere, ma neppure separi
il grano dal loglio – ché pochi accettano di correggere la castroneria, salvo
poterne attribuire la responsabilità ad altri o (peggio) sostituirla con una
più grossa -, più la qualità, che a mio avviso è la capacità di informare
cogliendo la novità e di orientare cogliendo la tendenza, decade.
E proprio mentre
ci s’avvita in questa spirale, tutti insieme, giornalisti, editori, soprattutto
fruitori, che pure hanno la loro influenza se cliccano sempre sulla tetta e mai
sulle storie vere e dense, finché non muore un bimbo riverso annegato su una
spiaggia turca – e allora scatta il morboso -, senti levarsi da ovunque voci che
inneggiano alla ‘qualità’: pare di stare nel Conte di Carmagnola.
Ma le voci
vengono spesso da coloro che di questa indistinta materia colore marrone scuro che
è divenuta l’informazione - a costo minimo per chi la produce e a costo zero
per chi la utilizza - sono gli artefici massimi, in nome del clic e del
contatto, dell’audience e dello share, nel segno del ‘tanto il lettore, o l’ascoltatore,
o lo spettatore, o il visitatore, è un cerebroleso’, con il risultato di
renderlo tale a forza di indigestioni di gossip senza alternativa.
Dallo
stesso magma, si levano altre voci che invocano la tutela, della privacy, dei
minori, dell’orientamento sessuale, delle minoranze etniche, dei gruppi di
pressione, dei segreti di Stato e financo delle macchinazioni dei farabutti. E
anche qui le voci spesso vengono proprio da coloro che più si dimenano per
mettere la propria privacy, o quant’altro hanno da esibire, a repentaglio,
offrendola nuda o scabrosamente vestita a fotografi e cronisti e restando
delusi fin quando DagoSpia non s’accorge della loro esistenza.
Mi chiedo
se davvero a costoro sia dovuta la tutela, che viene tra l’altro invocata allo
scopo di fare ulteriormente parlare di sé, alimentando il flusso, anzi
facilitando il transito, dell’indistinta materia colore marrone scuro di cui
sopra.
Il tutto
condito da grani di saggezza che tali sarebbero in realtà, dal frettoloso
‘questo è quel che vuole la gente’ all’erudito ‘il medium è il messaggio’, ma che,
citati e usati spesso a casaccio, servono a giustificare le peggiori nefandezze
ai danni di un’informazione corretta. Che non è l’informazione ‘politicamente
corretta’, anzi che spesso ne confligge, in nome di quell’essere, anzi aspirare
a essere, l’informazione cane da guardia del potere e mai cane da salotto, che
blandisce e asseconda il signore e distrae il volgo (dagli abusi del signore).
Il
viluppo, richiamato di per sé dal trittico ‘interazione, contenuto, tutela’, è
un gomitolo così intricato che, per recuperarne i capi, bisognerà lavorare di
forbici. Con il risultato di crearne decine, di capi, dove ce n’erano due, e di
complicare ulteriormente il quadro. Sai che ti dico? Non ci capisco più nulla e
mi scoppia la testa… Mi rifugio nella mia collezione di video virali, tutti
gratis: il mio preferito è quello del giornalista che uccide in diretta la collega
e il cameramen e poi posta subito tutto sul web, prima di ammazzarsi. Che
storia!, che cronista!, ci ha messo tutto: sangue, sesso, razza –lui nero, lei
bianca-, la tv, internet… E i problemi di tutela li ha risolti alla radice:
morti tutti, vittime e killer, riposino in pace nei loro social.
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