Scritto per Il Fatto Quotidiano dell'11/10/2015
Sangue sul voto in Turchia, a tre settimane da quelle elezioni politiche ‘bis’ del 1° novembre già trasformate dal presidente Erdogan in ‘elezioni di guerra’ con i raid aerei contro lo Stato islamico: una mossa che ha dato al leader turco la patente anti-terrorista , che lui usa in patria contro i curdi. Cui, però, nessuno prova ad attribuire la paternità dell’attentato di ieri ad Ankara: 86 morti e quasi 200 feriti che, agli italiani, ricordano la ‘strategia della tensione’ degli Anni Settanta, anche se alcune circostanze, come la presenza di kamikaze fra la folla del corteo, possono indurre a pensare all’Is: colpevole perfetto, per il più grave attentato nella storia della Turchia moderna.
Il presidente Erdogan condanna "l'attacco odioso" contro la manifestazione pacifista filo-curdo: è un attacco "contro la nostra unità e la pace della nostra nazione", invocando "solidarietà e determinazione". Ma proprio le scelte di Erdogan, prima e dopo il voto del 7 giugno, hanno portato alla rottura della tregua raggiunta nel 2013 con il Partito dei lavoratori dei curdi (Pkk), scuotendo alle fondamenta –dice Emanuela Pergolizzi, specialista di Turchia allo IAI- “la pacifica convivenza tra le molteplici anime della società turca”.
Il voltafaccia politico e militare, dopo anni di dialogo tra l’Akp di Erdogan e il Pkk, è stato accelerato dall’ottimo risultato elettorale ottenuto in primavera dal Partito democratico del Popolo, l’Hdp curdo, la cui consistenza ostacola i progetti ‘super-presidenziali’ e autoritari di Erdogan.
E le cronache verso il voto ‘bis’ che dovrebbe sbloccare l’impasse politica sono divenute bollettini di guerra, nel silenzio glaciale della stampa turca, la cui libertà non è mai stata così conculcata dai tempi della dittatura militare: il 20 luglio, la morte di 33 giovani attivisti socialisti curdi a Suruc – azione firmata dall’Is -; poi, l’inizio delle operazioni anti-terrorismo sui fronti esterno ed interno; quindi, l’intreccio tra repressioni e attentati, con l’apice l’8 settembre, quando sedi dell’Hdp sono state attaccate e danneggiate o distrutte in 56 province, ad opera –pare- dei ‘lupi grigi’.
I curdi, che in Siria e in Iraq sono gli unici che tengono testa agli jihadisti, difendendo i loro santuari, si sono trovati presi tra le ritorsioni dell’Is e la repressione di Erdogan.
La Casa Bianca, che deve barcamenarsi perché ha bisogno dei turchi nei cieli e dei curdi sul terreno, condanna e definisce "orribile" l'attentato: il portavoce del Consiglio per la Sicurezza nazionale Ned Price rileva “la necessità di fare fronte i modo condiviso alle sfide per la sicurezza nella regione".
Che ci sia “molto probabilmente l’Is” dietro l’attacco si Ankara lo sostiene, parlando con l’Aki, Mensur Akgun, direttore dinun centro studi di Ankara e docente a Istanbul: “L’obiettivo potrebbe essere multiplo - spiega -: un avvertimento al Pkk, perché eviti qualsiasi ulteriore confronto con l'Is; e un deterrente per la Turchia, o la volontà di creare il caos nel Paese”.
Diverso è il parere di Esra Ozyurek, che insegna lla London School of Economics: l’obiettivo dell’attentato ad Ankara erano l’Hdp e il suo successo elettorale, cioè non i curdi di Kobane, che combattono il Califfo, ma quelli ‘di casa’ che ostacolano i disegni di Erdogan. La studiosa non ha dubbi: ''L'intento è di continuare la guerra ai curdi”; e “chiunque sia stato è improbabile che lo abbia fatto senza la connivenza dell’intelligence turca”.
Mette insieme le due posizioni Daniel Pipes, politologo ‘neocon’ americano: "Sembra essere opera dell’Is, forse con il sostegno del governo turco". Per Pipes, “Erdogan non si ferma davanti a niente per diventare il dittatore della Turchia". Obiettivo del massacro sarebbe "far infuriare i nazionalisti perché sostengano il partito di Erdogan".
Affiora la ‘strategia della tensione’. Anche il leader dell’Hdp Selahattin Demirtas vede continuità tra ”questo attacco e quelli prima e dopo il voto del 7 giugno” ed evoca responsabilità governative. Il Pkk proclama un immediato ‘cessate-il-fuoco’ unilaterale.
Adesso, ci si chiede se la strage di Ankara avrà impatto sul voto del 1° novembre. Secondo Akgun, l'agenda elettorale non subirà variazioni: “Si andrà alle urne come programmato”. Per la Ozyurek, invece, “Erdogan potrebbe dichiarare lo stato d’emergenza e rinviare le elezioni”.
Il presidente potrebbe farlo se avvertisse di nuovo aria di smacco, come a giugno. "Erdogan – dice all’ANSA il giornalista d’opposizione Ilhan Tanir - ha creato un caos perfetto per chiunque voglia colpire la Turchia”. Il terrorismo politico e religioso è nel dna turco. Ma gli ancoraggi all’Occidente, all’Europa e alla democrazia non sono così fragili nel Paese dagli Anni Ottanta.
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