Nel giorno in cui s’accordano sul nuovo speaker della
Camera, i repubblicani non trovano ancora il loro candidato alla Casa Bianca
per Usa 2016. Ma, forse, comincia ad allentarsi la paura dell’establishment del
partito di vedere campioni dell’anti-politica, come il neuro-chirurgo nero in pensione
Ben Carson o il magnate dell’immobiliare Donald Trump, conquistare la
nomination.
Né Trump né Carson escono bene dal dibattito di mercoledì
notte, il terzo della serie, andato in onda sulla Cnbc da Boulder, Colorado: Trump
ripropone in modo persino esasperato il personaggio dello showman che le spara
grosse; e Carson appare impacciato e sempre timoroso di dire qualcosa di
sbagliato. Così che, alla fine, dice solo banalità.
Ma se i battistrada della campagna ‘bucano’ – la ruota, non
lo schermo -, neppure i politici di professione ‘fanno bingo’. Il governatore
del New Jersey Chris Christie azzecca, finalmente, una serata positiva, e l’ex
ceo di Hp Carli Fiorina, l’unica donna, si conferma brava nei dibattiti (ma
deve ancora imparare a non ‘sparire’ tra l’uno e l’altro). Quanto ai ‘cavalli
di razza’ –presunti- della Florida, Jeb Bush e Marco Rubio, nessuno dei due
esce davvero ‘presidenziabile’ da questo round.
Alla Camera, l’elezione di Ryan come speaker chiude una fase
di tensioni interne al partito, aperta dalle dimissioni di John Boehner, l’uomo
che invitò Papa Francesco al Congresso, oltre che, all’insaputa della Casa
Bianca, il premier israeliano Benjamin Netanyahu, stufatosi degli attacchi del
Tea Party e degli ultra-conservatori.
Boehner regala ai suoi critici un ultimo accordo con la Casa
Bianca sul bilancio 2016, bocciato come pessimo dai candidati alla Casa Bianca.
Ryan, deputato del Wisconsin e già candidato alla vice-presidenza nel 2012 in
coppia con Mitt Romney: Ryan, era atteso ai nastri di partenza della campagna
presidenziale, ma se n’è tenuto fuori, ufficialmente per passare più tempo con
moglie e figli. Ma ha tempo per provarci nel 2020.
Da Boulder, l’affollata corsa alla nomination repubblicana
riparte apparentemente livellata. Il dibattito è stato noioso e relativamente
poco seguito: a turno, i candidati se la sono presa con la stampa e,
ovviamente, con l’Amministrazione del presidente Obama e di quel suo clone che
sarebbe Hillary Clinton, la quasi certa avversaria democratica.
Il confronto è stato il terzo della serie, dopo quelli di Cleveland,
Ohio, in agosto e Simi Valley, California, in settembre. Per
la prima volta, però, Trump non partiva in testa: Carson l’ha infatti superato
alla vigilia, in un sondaggio per conto di Cbs/NYT: 26% contro 22%. Tutti gli
altri 13 aspiranti alla nomination repubblicana partivano sotto il 10% e mancano
ancora riscontri del dibattito in termini di impatto sul pubblico.
In una serata senza tenori e senza dominatori, il senatore Rubio,
il più giovane del gruppo, s’è limitato al minimo sindacale. Neppure quello
hanno fatto i senatori del Texas Ted Cruz, forse il meno loquace, e del
Kentucky Ron Paul, il libertario, verboso e poco concreto. Meglio i
governatori, Christie su tutti, seguito dall’esperto ex governatore
dell’Arkansas Mike Huckabee, un predicatore, e –a distanza- dal governatore
dell’Ohio John Kasich, mentre Jeb, ex governatore della Virginia, non è proprio
a suo agio con questa formula.
In palla, invece, la Fiorina, l’unica donna: questa volta,
Trump non l’ha stuzzicata; e lei se l’è presa direttamente con Hillary, di cui
s’è proclamata “il peggiore incubo”. Se è davvero così, le notti dell’ex first
lady sono relativamente tranquille.
Tutti i candidati hanno in genere evitato di ‘spararsi
addosso’ e d’esporsi al ‘fuoco amico’, scegliendo d’essere concordi su alcuni
punti, come la denuncia del ‘grande governo’ e la promessa di ridurne le
dimensioni e le competenze, oltre che, naturalmente, le spese e il debito. Pure
la stampa è finita spesso sotto tiro: “Il mio programma non è un fumetto”,
strilla Trump con il conduttore. Ma le sue maschere che vanno a ruba per
Halloween paiono smentirlo.
Nessun commento:
Posta un commento