Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 23/08/2016
Dopo tre settimane d’inferno, Donald Trump riesce di
nuovo a mettere sulla difensiva la sua rivale Hillary Clinton: il magnate
approfitta del riemergere di vecchie storie, l’ ‘emailgate’ e le donazioni alla
Clinton Foundation, e di una gaffe di Hillary con Colin Powell, per venire via dalle
corde e respirare un po’.
Di suo, Trump ci mette poco. Anzi, le strizzate
d’occhio ai neri e agli ispanici sono piuttosto goffe. Ma pure la Casa Bianca
lo aiuta, raccontando una mezza verità, che per i canoni Usa è una bugia, sul
versamento all’Iran di 400 milioni di dollari legato alla liberazione di tre cittadini
americani.
L’
‘emailgate’, una vicenda che torna a galla - L'Fbi ha
scoperto quasi 15.000 email di Hillary, risalenti al periodo 2009-2013 in cui
la candidata democratica era segretario di Stato: mail inviate e ricevute su un
server privato e non su quello protetto e ‘regolamentare’ del Dipartimento di
Stato.
Si tratta di quasi 15.000 mail che si aggiungono alle circa
30.000 già rese disponibili da Hillary, forse parte delle circa 33.000 ritenute
private dall'ex segretario di Stato e quindi fatte distruggere. La Abc, che ne
dà notizia, afferma che, quale che ne sia l’origine, si tratta di documenti non
ancora sottoposti a verifica.
La campagna della Clinton ha così commentato gli
sviluppi della vicenda: "Come abbiamo sempre detto, Hillary Clinton ha
fornito al Dipartimento di Stato, nel 2014, tutte le email relative al lavoro
in suo possesso … Non sappiamo che cosa siano i documenti ora individuati dall’Fbi,
ma se il Dipartimento di Stato riterrà che alcuni siano collegati al lavoro siamo
chiaramente favorevoli alla loro pubblicazione".
Il Dipartimento di Stato, dal canto suo, non ha detto se
e quando saranno pubblicate le nuove mail. L’indagine finora compiuta dall’Fbi
s’è conclusa con un non luogo a procedere nei confronti della Clinton,
sottoposta a giugno a un lungo interrogatorio.
L' ‘emailgate’, com’è stato battezzato dalla stampa
Usa, è uno dei pochi temi concreti su cui Trump può attaccare la rivale, sollevando
dubbi sulla sua affidabilità: l’accusa è di avere esposto a fughe materiale
potenzialmente sensibile per la sicurezza nazionale.
Un giudice federale di Washington D.C. ha frattanto disposto
che l’ex segretario di Stato risponda per iscritto a domande sull' ‘emailgate’
che un’organizzazione conservatrice ha chiesto di poterle porre. Il giudice Emmet
Sullivan non ha però disposto che la Clinton deponga di nuovo sotto giuramento come
chiedeva Lawyers for Judicial Watch, appellandosi al Freedom of Information
Act. Il giudice ha fissato al 14 ottobre la scadenza per la presentazione delle
domande ed ha dato alla Clinton 30 giorni per rispondere. Il che ci porta oltre
l’Election Day, l’8 Novembre.
Alcune domande riguarderebbero richieste di accesso gestite
da una stretta collaboratrice di Hillary, Huma Abedin, che le avrebbe tutte correttamente
indirizzate ai canali ufficiali.
Botta
e risposta con Powell – Fra le tante autoreti di Trump, eccone
una della Clinton, legata proprio all’ ‘emailgate’. L’ex segretario di Stato Colin
Powel nega di averle mai consigliato, quando lei guidava la diplomazia Usa, di
usare un account privato per la corrispondenza elettronica. "La sua gente
(cioè lo staff della Clinton, ndr)
sta cercando di addossarmi la colpa", dice Powell: "La verità è che
stava usando il server privato per le sue mail da almeno un anno prima che le
inviassi un memo su come mi ero regolato io", riferiscono People e il New
York Post.
A tirare in ballo Powell, sarebbe stata proprio la
Clinton, rispondendo alle domande dell’Fbi, almeno secondo la ricostruzione del
NewYork Times. Il quotidiano sostiene che questo dettaglio è nel dossier
consegnato la scorsa settimana dall'Fbi al Congresso. Il giornale cita, inoltre,
un libro che sta per uscire di Joe Carson ("Man of the World: The Further
Endeavors of Bill Clinton"): si racconta come nel 2009, a una cena data da
un altro ex segretario di Stato, Madeleine Albright, Powell suggerì a Hillary
di ricorrere a un account di posta personale per tutte le comunicazioni tranne
che per quelle "classificate".
Powell, un nero, il primo a ricoprire numerosi
incarichi militari e politici, repubblicano anomalo, nel 2008 e nel 2012
sostenne Barack Obama e non ha ancora espresso il suo endorsement 2016. Difficile
lo faccia a favore di Trump, ma difficile pure che s’esprima per una candidata
che tenta d’usarlo come capo espiatorio.
Trump
chiede ai Clinton di chiudere loro Fondazione – Dimentico dei
propositi di moderazione, espressi comunque contro voglia, Trump ha duramente
attaccato la rivale, tacciandola di cupidigia e corruzione, e ha ingiunto a lei
e al marito, l’ex presidente Bill, di chiudere la Fondazione che porta il loro
nome e che dal 1997 a oggi ha raccolto circa due miliardi di dollari.
"I Clinton", afferma in un comunicato il
candidato repubblicano alla Casa Bianca, "hanno trascorso decenni a
riempirsi le tasche, occupandosi dei loro donatori anziché dei cittadini
americani. Ormai è chiaro che la Clinton Foundation è l'ente più corrotto nella
storia della politica. Va chiusa immediatamente".
E quindi, intervistato dalla Fox, il magnate ha
intimato all'organizzazione benefica dell'ex first lady di restituire
"tutte le donazioni" avute da Paesi responsabili di
"discriminazioni ai danni delle donne, dei gay e di tante altre"
categorie svantaggiate: palese l'allusione all'Arabia Saudita, molto generosa
nei confronti della Fondazione, specie costei Hillary guidava il dipartimento
di Stato.
La settimana scorsa, Bill Clinton aveva annunciato
che, se Hillary sarà presidente, la Fondazione non accetterà più denaro
dall'estero né da compagnie private, e lui stesso ne lascerà il Consiglio d’Amministrazione.
Robby Mook, stratega della campagna di Hillary, ha dal canto suo ricordato che
la Fondazione fornisce cure contro l'Aids a oltre dieci milioni di persone, e
che è riuscita a fare scendere del 90% il costo dei farmaci anti-malarici.
Una ‘granetta’ supplementare legata alla Clinton
Foundation era venuta da un’inchiesta della Cnn, che aveva rivelato che una
delle principali collaboratrici della candidata democratica, Cheryl Mills, capo
di gabinetto della Clinton a Foggy Bottom, si recò da Washington a New York nel
giugno 2012 per un colloquio per un posto presso la Fondazione.
La Mills replica che, mentre era al Dipartimento di
Stato, il suo lavoro per la Clinton Foundation fu totalmente volontario. "Cheryl
– precisa la campagna di Hillary - ha volontariamente dedicato suo tempo libero
a un ente di beneficienza, come ha fatto con altri … Ha pagato di tasca sua il viaggio
a New York, ed é stata chiarissima con tutti i soggetti coinvolti che ciò non
aveva nulla a che fare con i suoi doveri d'ufficio … L'idea che questo ponga un
conflitto di interessi è assurda".
Trump, del resto, se ne fa un baffo delle inchieste
già svolte: se diventerà presidente, intende nominare un procuratore speciale per indagare sulla Clinton
Foundation. E critica il Dipartimento della Giustizia per aver “agito in modo
non etico” nelle indagini sull’ ‘emailgate’.
Il Dipartimento e
l’Fbi, a suo avviso, non meritano “fiducia” nell’indagare sulla Fondazione dopo
non avere incriminato la Clinton nell’ ‘emailgate’: “Sono sempre più
sconcertato dalla portata della criminalità di Hillary”, afferma il magnate,
sostenendo che da segretario di Stato “ha supervisionato pratiche corruttive”. (fonti vv – gp)