Hillary pubblica la dichiarazione dei redditi, Donald continua a rifiutarsi di farlo: non è un obbligo, ma la reticenza del magnate suona male. Il New York Times sospetta che lo showman paghi poco - quasi nulla - in tasse e non ci tenga a farlo sapere, mentre Forbes ipotizza che la sua fortuna, sbandierata intorno ai 10 miliardi di dollari, non superi i 4,5.
La questione, su cui finora i democratici non hanno puntato
in campagna elettorale, può diventare una buccia di banana per Trump, che,
intanto, continua a scivolare nei sondaggi. Si succedono quelli in cosiddetti
Stati chiave l’8 novembre: per Nbc/WSJ, la Clinton è avanti in Colorado,
Virginia e North Carolina, con margini in crescita, rispettivamente di 14, 13 e
9 punti. In nessuno dei tre Stati Trump raggiunge il 40%.
I
conti in tasca alla Clinton - La candidata democratica alla
Casa Bianca ha diffuso sul proprio sito i documenti fiscali 2015, invitando di
nuovo il rivale repubblicano a fare lo stesso. L’anno scorso, Hillary, col
marito Bill, l’ex presidente, ha guadagnato 10,6 milioni di dollari e pagato
3,6 milioni di tasse federali, il 34,7% del proprio reddito. I due hanno donato
un milione alla loro Fondazione.
E' dal 1977 che i Clinton pubblicano le loro dichiarazioni
dei redditi, un fatto sui cui i democratici insistono spesso, a fronte del
rifiuto di Trump di fare altrettanto. La fonte d’entrate principale di Bill e
Hillary sono gli interventi a pagamento dell’ex presidente alle conferenze,
che hanno fruttato l’anno scorso 5,2 milioni
di dollari, mentre l’ex first lady ha incassato 3 milioni di diritti per il suo
ultimo libro. Hillary stessa negli anni passati era un'oratrice ben remunerata,
ma ha smesso quando ha cominciato a prepararsi per la campagna elettorale.
Anche Tim Kaine, il candidato alla vice presidenza dei
democratici, ha contestualmente pubblicato le dichiarazioni dei redditi degli
ultimi 10 anni: nel 2015, con la moglie Anne Holton ha guadagnato 310mila
dollari.
La pubblicazione della dichiarazione dei redditi, pur non
essendo obbligatoria, è una prassi per tutti i candidati presidenziali, a partire
dalla campagna 1972 e da Richard Nixon. Il primo a non farlo in oltre 40 anni
sarà proprio Trump.
Gli
zig-zag di Trump, dico e correggo – Alla credibilità del candidato
repubblicano non danno certo una spinta gli ‘sto and go’ nelle sue
dichiarazioni: dopo aver sollevato un polverone accusando il presidente Barack
Obama, e la Clinton, di essere i fondatori del sedicente Stato islamico, il
magnate ha fatto marcia indietro, dicendo "stavo scherzando" e
prendendosela con la Cnn, che come tutti i media non lo avrebbe capito -
"Non sanno cos’è l'ironia?" -.
L'accusa a Obama e alla Clinton era stata lanciata mercoledì
durante un comizio in Florida ed era stata ripresa in un'intervista: il magnate
aveva detto che "Obama è il fondatore dell'Is e Hillary ne è la
co-fondatrice". La candidata democratica aveva risposto con un tweet,
affermando che "chiunque è disposto a scendere così in basso, così spesso,
non dovrebbe servire come comandante in capo".
Trump ha ormai abituato il pubblico alle sparate a effetto,
spesso senza fondamento e in genere senza ripensamenti. La settimana scorsa
aveva però ammesso di avere fatto un errore, proclamando l’esistenza di un
video iraniano che provava il versamento di 400 milioni di dollari per il
rilascio di cittadini Usa detenuti.
La prossima affermazione a rischio marcia indietro è quella
fatta in un’intervista al Miami Herald, secondo cui i cittadini americani
accusati di terrorismo dovrebbero essere processati dal tribunale che giudica i
detenuti di Guantanamo.
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