Scritto per Il Fatto Quotidiano del 17/08/2016
Torna la calma a Milwaukee, dopo tre notti e due
giorni di tensione razziale altissima e di scontri con la polizia innescati dall'uccisione,
sabato, di un giovane nero armato da parte di un agente anch'egli nero. L’estate
violenta dell’America proiettata verso le elezioni presidenziali s’è riaccesa
con una vampata, dopo alcune settimane tranquille.
Il bilancio degli incidenti di Milwaukee è di 17
manifestanti arrestati, quattro poliziotti leggermente contusi, un ferito da
colpi di arma da fuoco fra chi protestava – per soccorrerlo, la polizia ha
dovuto usare un’autoblindo -, varie attività commerciali date alle fiamme, fra
cui una banca e una stazione di servizio.
Un’auto della polizia è stata danneggiata dal lancio
di oggetti: frantumandosi, il parabrezza ha ferito uno degli agenti a bordo.
Spari sono stati uditi in almeno tre zone della città, ma la protesta, che
aveva avuto il suo apice nella notte tra sabato e domenica, quando poliziotti
in tenuta antisommossa avevano fronteggiato centinaia di dimostranti, s’è
andata stemperando in capo a 48 ore. Il sostegno al sindaco di Milwaukee
espresso dal presidente Obama e l’invio sul luogo della Guardia nazionale hanno
contribuito a raffreddare gli animi.
La vampata di violenza nella più grande città del
Wisconsin è stata immediata e drammatica, ma, diversamente da luglio, dopo
l’uccisione di giovani neri a opera di poliziotti bianchi a Baton Rouge in
Louisiana e nei pressi di St.Paul, nel Minnesota, non s’è allargata a tutta
l’Unione.
Questo perché l’episodio di Milwaukee ha
caratteristiche che lo rendono meno aberrante, agli occhi dell’opinione
pubblica americana, di molti precedenti: Sylville Smith, il giovane ucciso, 23
anni, era un delinquente, era armato e aveva la pistola carica; l’agente che ha
sparato è un suo coetaneo ed è nero. Mentre il padre di Sylville quasi
giustifica l’assassinio del figlio, la sorella maggiore Kimberly Neal chiede
che il poliziotto venga incriminato.
Le violenze fuori controllo di Milwaukee creano però
imbarazzi al movimento Black Lives Matter, che, dal 2013, dopo l’assoluzione
del vigilante ispanico che uccise in Florida un adolescente nero, organizza
campagne contro violenza e razzismo nei confronti degli afro-americana.
Divenuto movimento nazionale nell’estate 2014, dopo l’uccisione a Ferguson in
Missouri di Michael Brown, Black Lives Matter è stato spiazzato dalle
ritorsioni sui poliziotti compiute in luglio a Dallas e Baton Rouge –
rispettivamente cinque e tre agenti uccisi da killer neri reduci di guerra – ed
è stato sopraffatto dalla piazza a Milwaukee.
C’è di che creare difficoltà, nella corsa alla Casa
Bianca, a Hillary Clinton, che sostiene le ragioni dei neri. Le risposte
violente ai soprusi della polizia – e quello di Milwaukee non è avvertito come
tale dall’opinione pubblica americana – alimentano, sul fronte opposto, il
sentimento di rivalsa dei bianchi frustrati da otto anni di un presidente nero
e galvanizzati dalla retorica di Donald Trump, che risponde al calo nei
sondaggi rilanciando le polemiche e non abbassandone i toni.
Sugli immigrati, come sui musulmani, il candidato
repubblicano, che il partito potrebbe scaricare, se di qui all’inizio di
settembre non si dà una regolata, ha ricette drastiche: considera una minaccia
per la sicurezza dell’Unione anche quelli con i documenti in regola; vuole
sottoporre tutti coloro che entrano negli Usa a “test ideologici”; e mettere al
bando quanti provengono da Paesi a rischio (“che siano musulmani, ebrei o
cristiani”, specifica il suo vice Mike Pence).
Nessun commento:
Posta un commento