Non sono solo rose e fiori, nella
campagna di Hillary Clinton, resa più semplice, negli ultimi giorni, dalla
serie di gaffe ed errori di Donald Trump. La candidata democratica, pur in
testa nei sondaggi, continua a essere turbata dall' ‘incubo
Bengasi’ ed è pubblicamente chiamata a rispondere dell’accusa di avere causato,
con una condotta, negligente la morte di quattro cittadini Usa nell'attacco
terrorista dell’11 settembre 2012 al consolato di Bengasi in Libia. E’, in
qualche modo, la risposta repubblicana al passo falso di Trump, entrato in
polemica con la famiglia d’un capitano dell’esercito Usa caduto in Iraq per
salvare i suoi commilitoni: un eroe di guerra musulmano.
A chiedere alla Clinton conto della strage di Bengasi sono i
familiari delle quattro vittime, tra cui Patricia Smith, madre del diplomatico
Sean Smith, e Charles Woods, padre del l'agente della Cia Tyrone Woods. Smith e
Wood persero la vita con l'ambasciatore Chris Stevens e a un altro agente Cia,
Golen Doherty.
Con
Trump, botte e risposte – Impermeabile agli scandali e agli
inviti alla prudenza, Trump continua ad attaccare il presidente Obama, “fondatore”
del sedicente Stato islamico, e la Clinton, “la co-fondatrice". Trump l’ha
ripetuto parlando a Sunrise, vicino a Fort Lauderdale, Florida, suscitando gli
applausi dei suoi sostenitori che invocavano l'arresto dell'ex segretario di
Stato.
La replica di Hillary è che le affermazioni di Trump, che
aveva “oltrepassato il limite della decenza” quando aveva suggerito che i
possessori d’armi potrebbero fermarla, sono solo "un altro esempio dello stile”
politico del magnate che “getta spazzatura sugli Usa”: “Non ci sarebbe neanche
bisogno di sottolineare che si tratta di una falsità pronunciata da un
candidato presidenziale che è allergico alla verità ed è un incompetente senza
precedenti. E’ significativo che ancora una volta le sue parole riecheggino le
posizioni di Putin e dei nostri avversari al fine di attaccare i leader
americani e ledere gli interessi Usa (un riferimento
all'appello di Trump agli hacker russi a scoprire le mail 'private' della
Clinton quando era segretario di Stato mai rese pubbliche, ndr), mentre lui
non riesce a offrire alcun serio piano per combattere il terrorismo e per
rendere questo Paese più sicuro".
Le
accuse su Bengasi – Proprio perché “imprudente” nella
gestione delle sue mail, l'ex segretario di Stato, dice Larry Klayman,
fondatore dell'organizzazione conservatrice Freedom Watch, rese disponibili
informazioni sensibili "sulla localizzazione" in Libia dei funzionari
americani, rendendo così possibile un "attacco terrorista mortale". I
"nemici" degli Stati Uniti come Russia, Cina, Corea del Nord o Iran,
"alleati di gruppi di terroristi", prosegue Klayman senza però
sostanziare con prove le proprie affermazioni, vennero a conoscenza di
informazioni classificate per colpa della Clinton.
I fatti di Bengasi sono stati oggetto d’indagini
approfondite da parte del Congresso, ma non è mai emersa alcuna prova che
indicasse responsabilità o omissioni da parte della candidata democratica.
Il padre del killer al comizio – Un’altra grana, forse minore, per l’ex first lady
viene dal padre dell'autore del massacro di gay a giugno in una
discoteca di Orlando, in Florida: l’uomo è stato fotografato seduto tra il
pubblico dietro la Clinton, durante un comizio della candidata democratica,
appunto in Florida.
Seddique Mateen, il cui figlio Omar uccise 49 persone al
nightclub Pulse il 12 giugno, l’ascoltava sorridente. Ignara della presenza alle
sue spalle, Hillary aveva iniziato il suo discorso a Kissimmee, una trentina di
minuti appena dal luogo del massacro, con un omaggio alle vittime della strage.
Fotografato con un cartello con il motto della campagna
Clinton, 'Stronger Together', Mateen, che è stato un attivista filo-talebano,
ha detto di essere stato "invitato" al comizio. Ma lo staff di
Hillary l’ha smentito. "E' un partito democratico, chiunque può unirsi",
ha poi detto l’uomo alla WPTV. (fonti vv
– gp)
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