L’andamento zoppicante della campagna elettorale di Donald Trump, le sue gaffe e i suoi eccessi ridanno vigore agli oppositori interni al partito repubblicano alla sua candidatura alla Casa Bianca. Così, circa 70 esponenti repubblicani, tra cui ex membri del Congresso, chiedono di tagliare i fondi del partito alla campagna di Trump e di destinare le risorse ai candidati alla Camera e al Senato.
In una lettera al comitato nazionale repubblicano, i
Settanta osservano che "le probabilità di vittoria di Trump stanno
evaporando di giorno in giorno" e sostengono che "l'incompetenza,
l'incoscienza e il suo essere divisivo rischiano di provocare una vittoria a
valanga dei democratici" l’8 Novembre, quando gli americani rinnoveranno
anche il Congresso – tutti i deputati e un terzo dei senatori -..
Il magnate, dal canto suo, evoca per la prima volta
l’ipotesi della sconfitta – “Se non funziona, mi prenderò una lunga vacanza” –
e torna ad agitare il fantasma di brogli che potrebbero, a suo dire, sbarrargli
la strada verso la Casa Bianca. In difficoltà nei sondaggi, ma deciso a non
modificare stile e toni della sua campagna, lo showman ha affermato, parlando
in Pennsylvania, di essere "serio" quando ipotizza che "alcuni
ambienti” dell’Amministrazione potrebbero tendergli “trappole".
Anche se Trump non intende cambiare registro, c’è comunque
stato un incontro tra il suo staff e l’apparato del partito per discutere della
campagna: secondo fonti di stampa, il consulto sarebbe stato suggerito proprio
dalle difficoltà del magnate, in calo nei sondaggi e in perdita di credibilità
negli stessi ambienti repubblicani e conservatori. Si ignora, però, l’esito del
confronto, di cui, comunque, non si sono ancora visti frutti.
La
lista dei dissidenti di peso – Si allunga, intanto, la lista dei
repubblicani più o meno illustri, frustrati dalla candidatura di Trump e decisi
a non votarlo. Dopo i senatori Ben Sasse del Nebraska e Mark Kirk
dell’Illinois, l’autorevole senatrice del Maine Susan Collins, una moderata, è
uscita allo scoperto sul Washington Post, argomentando che non voterà il
magnate perché “non rispecchia i valori storici repubblicani né la visione
inclusiva del governo, cruciale per sanare le divisioni del nostro Paese".
L'ex
governatore del Michigan William
Milliken fa addirittura sapere che voterà Hillary Clinton, “rattristato che il partito
repubblicano abbia
deciso di sostenere un candidato che non rispetta valori" come tolleranza,
correttezza, uguaglianza.
Per contro,
Trump trova un sostenitore nella famiglia Bush, che ha dato due
presidenti e che gli è ostile: George P. Bush, 40 anni, figlio dell'ex
governatore della Florida Jeb Bush, irriso e battuto dallo showman nelle primarie,
lo voterà e farà campagna per lui, rompendo con tutti i suoi. George P. Bush è
in politica in Texas, dove, dall’inizio del 2015, è il responsabile della
gestione delle terre e delle risorse minerarie dello Stato.
Il
guanto si sfida del carneade – Se repubblicani conosciuti
prendono le distanza da Trump, c’è chi gli ha lanciato un guanto di sfida,
annunciando una candidatura alternativa e indipendente. Si tratta, però, di un carneade
per la stragrande maggioranza dei cittadini americani: Evan McMullin, 40 anni, avvocato
dello Utah, dall'anno scorso direttore dell'ufficio politico del gruppo
repubblicano alla Camera. McMullin non ha esperienza politica e neppure
visibilità nazionale, ma il suo gesto è una testimonianza del disagio che
serpeggia nel partito.
"Per fare la cosa giusta non é mai tardi", afferma
McMullin, sulla pagina Facebook appositamente creata per l’avventura
elettorale: “L'America merita molto meglio di quello che sia Donald Trump che
Hillary Clinton possono offrire. Mi propongo come guida per dare a milioni di
connazionali delusi una scelta conservatrice per la presidenza".
Secondo l’Abc, l'iniziativa di McMullin riscuote il pieno
sostegno di 'Better for America', gruppo no-profit fondato e finanziato da
esponenti repubblicani ostili a Trump.
Già consulente in materia di sicurezza per la commissione
Esteri della Camera, McMullin è esperto delle operazioni clandestine della Cia
condotte dopo gli attacchi all’America dell'11 settembre 2001 e ha competenze in
diversi settori (è un ex funzionario dell'Unhcr, l'Alto Commissariato dell’Onu per
i rifugiati, e ha pure lavorato per la Goldman Sachs). Ci sono però dubbi sulle
sue capacità e possibilità di farsi conoscere e di raccogliere i fondi necessari
per competere per la Casa Bianca.
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