Caduta, o presa, o liberata, Sirte, gli jihadisti in Libia sono in rotta e sconfitti. E la cacciata dei miliziani del sedicente Stato islamico, che è una cosa di per sé positiva, innesca problemi in cascata. Sul fronte della sicurezza, gli integralisti non sono stati annientati, almeno confrontando le stime delle loro forze e delle loro perdite – cifre la cui attendibilità è aleatoria -: centinaia, se non migliaia, di soldati del Califfo sarebbero riusciti a sottrarsi alla morsa dell’offensiva dei lealisti e alla battaglia casa per casa nella città di Gheddafi. Sul fronte interno, viene meno il collante che l’obiettivo di cacciare gli jihadisti da Sirte rappresentava per le fazioni libiche.
Gli sviluppi
libici si inseriscono uno scenario internazionale che, dalla Siria al Nord
Africa via l’Iraq, vede inasprirsi la lotta all’autoproclamato Califfato, sulla
difensiva su tutti i fronti, contro i curdi, o contro i lealisti siriani
appoggiati dai russi, o i regolari iracheni sostenuti dalle milizie iraniane.
In parallelo, si moltiplicano gli attacchi terroristici, riconducibili all’Is o
che l’Is si attribuisce.
L’inviato
per la Libia delle Nazioni Unite Martin Kobler, artefice ultimo dell’intesa
posticcia su cui si basa il governo di unità nazionale del premier al Serraj
avverte, in un’intervista a un giornale svizzero, la Neue Zercher Zeitung, che
il "sostegno all’esecutivo in Libia si sta sgretolando a causa delle crescenti
difficoltà nel Paese”: "Il governo –osserva lucidamente il diplomatico
tedesco - impone difficilmente la sua autorità in un paese con profonde rivalità
politiche e militari”, dove il Parlamento eletto che siede a Tobruk non ha
ancora dato il suo avallo al premier insediato dalla comunità internazionale e dove
le milizie – quelle di Misurata e le altre -, una volta eliminato il pericolo
jihadista, possono progettare di tornare a essere autonome.
I raid aerei Usa in Libia e in particolare a Sirte, in atto
da due settimane, hanno accelerato l’offensiva anti-integralisti, ma – avverte
Kobler – “non bastano a sconfiggerli: la lotta deve essere condotta dai libici
e realizzata con truppe di terra". Discorso che vale pure altrove, tra
Siria e Iraq.
Inoltre, la moltiplicazione dei blackout energetici e la svalutazione
della moneta locale, che penalizza le importazioni di beni di prima necessità,
creano malumori nella popolazione e incidono, dunque, sulla popolarità del
governo al Serraj, anche se esso, a giudizio dell’inviato dell’Onu, non ha
alternative valide. Di qui, l’invito a sostenerlo rivolto ancora una volta a
tutte le fazioni libiche.
La fragilità dell’esecutivo di unità nazionale non è solo
interna. L’appoggio internazionale è meno compatto di quanto appaia nelle
dichiarazioni ufficiali: l’Egitto, la cui influenza e presenza in Libia è
forte, è vicino al Parlamento di Tobruk e alle forze del generale Haftar, che
ne sono in qualche misura il braccio armato (ma che lo tengono pure in pugno);
e pure la Francia ha legami con Tobruk. I suoi commando, del resto, operano a
Bengasi, dove sono le unità di Haftar.
Venuto meno il collante anti-jihadista, c’è il rischio che
si torni in Libia al tutti contro tutti. E che i Paesi presenti sul terreno con
proprie forze speciali – oltre alla Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna e
Italia -, vi restino impaniati.
Del resto, tutti sono lì perché hanno interessi da
difendere, al di là della lotta al terrorismo: non è casuale che l’avanzata dei
lealisti a Sirte sia stata parallela a progressi nel ripristino delle attività
energetiche libiche, estrattive e di esportazione.
L’Italia, che ha
annunciato la riapertura dell’ambasciata e la nomina d’un ambasciatore, forse più degli altri, a prescindere dal
passato coloniale: la dipendenza energetica, l’intreccio degli affari; e pure la
questione dei migranti, poiché quasi tutti i barconi diretti verso le coste
italiane partono, attualmente, da quelle libiche. Con i suoi corollari
umanitari, di gestione e di sicurezza.
C’è pure la
sensazione d’una relativa complicità tra le intelligence italiana e libica,
quale che sia la sostanza e l’affidabilità di quest’ultima. Le voci di
documenti dell’Is in Libia che ne suggeriscono presenze in Italia e mire
sull’Italia sono funzionali alla richiesta di più uomini e mezzi per garantire
una sicurezza ulteriormente minacciata dal rischio che miliziani in fuga aspiranti
terroristi arrivino in Europa sui barconi dei migranti. Un’ipotesi che fino a
ieri appariva altamente improbabile acquista forza, se non credibilità.
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