Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 03/04/2016
Questa volta, Maurizio Crozza ha proprio esagerato: il
colloquio tra Obama e Renzi non è stato affatto come lui se l’è immaginato, nel
‘Paese delle Meraviglie’, in presunta contemporanea, venerdì sera. Anzi, quasi
non c’è stato; e, comunque, di Libia quasi non s’è parlato, almeno stando alle
cronache da Washington: rispetto alle attese della vigilia, un incontro
decisamente in sordina.
Ma un motivo c’è. Anzi, i motivi sono più d’uno.
Primo, all'America di Obama la Libia preoccupa solo in quanto fronte di
contenimento dell’espansione nel Nord Africa del sedicente Stato islamico: gli
Usa non intendono occuparsene, raid e droni a parte, e si aspettano che lo
facciano gli europei, come è emerso nei colloqui di Obama, a margine del
Vertice sulla sicurezza nucleare, con il francese Hollande e con Renzi.
Secondo, le cose in Libia si sono messe meglio, nelle
ultime 72 ore, per l’Italia e pure per la Francia e, dunque, Parigi e Roma
possono stare a vedere senza fregole d’intervento. "Il passettino in
avanti fatto in Libia é tanta roba. Per mesi, ci hanno fatto credere che
dovessimo bombardare – in realtà, ce lo avevano fatto credere pure lui e i suoi
ministri, ndr -, ma noi abbiamo tenuto dritta la barra, e oggi il tentativo
dell'Onu, fortemente sostenuto da Usa e Italia, di creare un governo ha
fatto" progressiu, ha infatti detto ieri Renzi, parlando alla scuola
politica di formazione Pd. E, poco prima, al rientro da Washington, sulla sua
e-news aveva scritto: “Speriamo che i segnali positivi che arrivano dalla Libia
siano confermati nelle prossime settimane: l'Italia lavora in questa direzione silenziosamente,
tutti i giorni".
Che cosa sta succedendo, in Libia, che ci piace tanto?
Il governo di unità nazionale del premier designato al Serraj, sostenuto
dall'Onu e dalla comunità internazionale, o almeno occidentale, s’è ormai
insediato a Tripoli, ancora senza legittimazioni parlamentari, e s’è
rapidamente rinforzato dopo la fuga a
Misurata del premier ‘alternativo’ islamista Ghwell e l’adesione di numerose
città della costa da Tripoli al confine con la Tunisia – la lista ieri s’è
allungata -. Al Serraj si sente così d’affermare che “la transizione sarà
pacifica”, anche se il quadro resta fragile e colpi di scena o anche solo
incidenti di percorso restano possibili.
Di fatto, la Tripolitania, che, come ha recentemente
detto con chiarezza in un’intervista l’ex ad dell’Eni Scaroni, è dove l’Italia
e l’Eni hanno i loro interessi, si sta schierando con al Serraj, mentre la
Cirenaica, dove la Francia ha interessi ed è pure presente con forze speciali
in una base nei pressi di Bengasi, resta sotto la flebile autorità del
Parlamento eletto di Tobruk e sotto l’egida dell’Egitto, che agisce tramite il
generale Haftar.
Se le cose restano così, e il contagio delle milizie
jihadiste rimane circoscritto alla Sirte, spegnendosi i focolai accesisi a
Sabrata e a Derna, all’Italia – e alla Francia - può anche stare bene. E gli
Usa non si dannano perché la Libia abbia un assetto istituzionale stabile e
definito, se l’infiltrazione terroristica è contenuta – questa è la priorità -.
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